Il business dei rifiuti ancora nelle mani di Cosa Nostra Musumeci: «Mafia si è messa in proprio e crea aziende»

«Un salto di qualità». Per Nello Musumeci, presidente della commissione regionale Antimafia, quello che emerge dall’inchiesta della procura di Catania sugli interessi del clan Cappello nel settore dei rifiuti è un inquietante passo avanti nella decennale storia delle infiltrazioni della criminalità organizzata in Sicilia in questo ambito. I magistrati etnei hanno sequestrato tre aziende – Geo Ambiente, Clean Up ed Eco Businessche negli ultimi anni hanno fatto man bassa di appalti nei Comuni siciliani, in particolare quelli in provincia di Catania. Le tre ditte sarebbero riconducibili a Giuseppe Guglielmino, «non un colletto bianco ma grigio», ci ha tenuto a precisare il procuratore capo Carmelo Zuccaro. Indicando che l’imprenditore sarebbe organico del clan, al punto da dire: «Io sono Cappello». 

«Nel recente passato – sottolinea Musumeci – le aziende, spesso del Nord, sono state costrette in qualche modo a scendere a patti con la mafia per lavorare in Sicilia nel settore dei rifiuti. Adesso Cosa Nostra sembrerebbe essersi industriata da sola, costituendo in loco proprie società». Questo sarebbe infatti lo scenario ricostruito dalla magistratura etnea rispetto alle aziende che sarebbero riconducibili a Guglielmino, anche se amministrate da altri. Le tre ditte hanno operato, e in alcuni casi operano tuttora, nei Comuni di Scicli, Vittoria, Pozzallo, Giarre, Riposto, Aci Sant’Antonio, Fiumefreddo, Santa Venerina, Viagrande, Aci Catena, Palagonia, Trecastagni, Adrano. Ma anche in Calabria, a Locri, Siderno, San Nicola Arcella e Belvedere Marittimo. Proprio in Calabria, nel 2012, alla Geo Ambiente vengono bruciati alcuni autocompattatori. In quel caso, secondo gli inquirenti, è il clan Cappello a mediare con la ‘ndrangheta trovando un accordo che garantisca la ditta di Guglielmino. La stessa impresa che sarebbe stata a un passo dall’aggiudicarsi l’appalto a Casal di Principe. «Guglielmino aveva contatti con la famiglia Grillo, vicina ai Casalesi», ha precisato il procuratore Zuccaro. 

Da anni il settore dei rifiuti è fortemente infiltrato dalla criminalità organizzata. È quanto emerge dalla relazione della Commissione d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti della Camera, pubblicata la scorsa estate. A Messina, come spiegava il procuratore Guido Lo Forte, «più o meno da Villafranca fino ai confini della provincia di Palermo, in cui è ubicata Barcellona Pozzo di Gotto, l’affare delle discariche dello smaltimento dei rifiuti ha registrato un notevole, continuo e permanente inserimento della criminalità organizzata di tipo mafioso». Emblematica la vicenda dell’impianto di Mazzarrà Sant’Andrea, sequestrato dalla procura di Barcellona, così come quella dello stesso Comune, sciolto per mafia nell’ottobre 2015. La gestione della discarica sarebbe stata soggetta alla costante richiesta di pizzo da parte dei clan locali, e attorno all’impianto sarebbe fiorito un giro d’affari illecito che ha creato nelle casse del Comune un buco da 12 milioni di euro. Possibile anche grazie al parlamentare di Forza Italia, Lorenzo Piccioni, secondo gli inquirenti una talpa nella commissione ecomafie e arrestato nell’operazione Riciclo.

A Scicli, nel Ragusano, lo scioglimento del Comune per mafia nell’aprile 2015, è legato, ancora una volta, alla gestione dei rifiuti. Per la presenza di soggetti ritenuti appartenenti ai clan locali in seno alla ditta Eco Seib srl che ha gestito il servizio per diversi anni a partire dal 2010. Recentemente i protagonisti di questa vicenda sono stati condannati in primo grado, a eccezione dell’ex sindaco Franco Susino, ma è venuta meno l’aggravante mafiosa. Mentre tra Vittoria e Gela è emersa l’imposizione agli agricoltori, da parte del clan Emmanuello, dell’esclusiva nella raccolta di plastica e ferro. Alla base, secondo gli inquirenti, ci sarebbe un accordo tra il clan gelese degli Emmanuello e gli stiddari vittoriesi del clan Dominante-Carbonaro. Anche a Corleone il recente scioglimento per mafia del Comune ha a che fare con i rifiuti. Il ministro Angelino Alfano, nella relazione che accompagna il provvedimento, fa riferimento a ditte «collegate a consorterie mafiose locali» che avrebbero svolto la raccolta, su incarichi diretti da parte dell’amministrazione, alla luce delle difficoltà incontrate dalla società formalmente incaricata del servizio. 

Sono le ordinanze continigibili e urgenti, cioè gli affidamenti diretti di cui i sindaci si avvalgono, o in alcuni casi sono costretti ad avvalersi, a nascondere i rischi maggiori. «L’emergenza – sottolinea Nello Musumeci – è il terreno sul quale si costruisce il malaffare. Da una parte a causa delle norme carenti e ambigue, dall’altra per la capacità che ha un certo potere imprenditoriale di condizionare l’economia. Con la commissione regionale antimafia abbiamo recentemente chiuso un’indagine su Bagheria dove una ditta ha operato in condizione d’emergenza reclutando tra il personale anche familiari di soggetti condannati e indagati». Una situazione che sarebbe la prassi anche in altri Comuni del Palermitano e della Sicilia centrale. «Stiamo per votare la relazione finale di un lavoro durato due anni», annuncia il deputato catanese. 

E proprio in provincia di Catania si concentrerebbero le infiltrazioni maggiori. Illuminanti sono le dichiarazioni rese dai sindaci dei Comuni di Adrano, Biancavilla, Paternò e Santa Maria di Licodia, quasi tutti destinatari di intimidazioni, alla commissione nazionale d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti. «Oggi – dichiarava il primo cittadino di Adrano, Giuseppe Ferrante – dopo sette anni, posso dire che il sistema rifiuti in Sicilia è totalmente o quasi totalmente controllato dalle organizzazioni malavitose, a tutti i livelli. Parlo delle discariche, che chiaramente sono in mano a prestanome della mafia, parlo di buona parte delle aziende che sono controllate dalla mafia e quelle che non sono controllate dalla mafia in qualche modo devono soccombere ad alcune indicazioni che vengono date dalla mafia. Dico questo perché noi facciamo regolarmente delle gare, ma alle gare non partecipano più di una o due aziende. Questo significa che si fa cartello». 

A sostegno della sua tesi, Ferrante raccontava dei danni subiti dall’azienda che in quel momento gestiva il servizio nel suo Comune. «In questo momento abbiamo un’azienda che, per fortuna, è in amministrazione controllata. Proprio perché è controllata da un commissario nominato dal tribunale, ha già subito danni notevoli; hanno distrutto gli autocompattatori, hanno sparato all’interno del cantiere, quindi dando un segnale ben preciso che va nella direzione di soccombere ad alcune indicazioni che vengono dal sistema». La ditta di cui parlava Ferrante è proprio la Geo Ambiente, commissariata nel 2014, e oggi finita sotto sequestro perché considerata uno strumento nelle mani del clan Cappello.


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