«È possibile che nessun componente del Comitato provinciale per la sicurezza avesse contezza di quanto si dicesse in ambiente criminale?». Davide Mattiello, deputato nazionale uscente del Pd e componente della commissione Antimafia, avanza una domanda logica sulla vicenda di Ignazio Cutrò. Secondo il ministero dell’Interno e la Commissione centrale per l’applicazione delle misure di protezione, il testimone di giustizia di Bivona non ha più diritto alla scorta, perché non corre più pericolo. Eppure Cosa Nostra agrigentina non ha dimenticato quanto Cutrò le abba fatto male. L’imprenditore che ha denunciato i suoi estorsori, contribuendo a portare in carcere i fratelli Panepinto, è presente nelle conversazioni dei nuovi presunti affiliati, finiti in manette pochi giorni fa durante l’operazione Montagna che ha decapitato i clan della provincia siciliana. «Appena lo Stato si stanca, che gli toglie la scorta, poi vedi che poi…», diceva Giuseppe Nugara, ritenuto il vertice della famiglia di San Biagio Platani. Parole, pubblicate da MeridioNews, che adesso spingono l’avvocata di Cutrò, Katia La Barbera, a scrivere al ministero e alla Commissione centrale per chiedere di tornare sulle loro decisioni e permettere al testimone di giustizia di ususfruire del programma di protezione.
«Annullare la delibera con cui è stata decisa la mancata proroga delle speciali misure di protezione nei confronti di Cutrò e del suo nucleo famigliare». Così si conclude la lettera della legale che riepiloga e attualizza i rischi dell’imprenditore che continua testardamente a voler vivere nella sua Bivona, dove, grazie a una legge sui testimoni di giustizia che lui stesso ha contribuito e promulgare, lavora come dipendente regionale al centro per l’impiego. Proprio quest’ultimo impiego, a contatto col pubblico, è stato indicato dalle locale istituzioni – Prefettura, Questura di Agrigento e Dda di Palermo, interpellate da Roma – come uno dei fattori che dimostrerebbero la scomparsa del rischio. «Pirandellianamente – scrive l’avvocato La Barbera – si afferma che negli ultimi dodici mesi non si è verificato alcun fatto indicativo di elementi di rischio riguardanti Cutrò ed i suoi familiari. La medesima Prefettura ha riferito che, ancorchè quell’impiego alle dipendenze della pubblica amministrazione lo abbia messo maggiormente a contatto con situazioni extra familiari e con soggetti terzi, non è stato registrato il benché minimo, anche solo a livello informativo, elemento indicativo di rischio». Quindi la legale sottolinea che però «la commissione centrale tralascia il dato significativo che proprio la presenza della scorta e di videocamere di sorveglianza costituiscono un deterrente non trascurabile riguardo a chi mantenesse desideri di vendetta o meri intenti intimidatori».
A scuotere questa situazione sono arrivate le intercettazioni contenute nell’ordinanza dell’operazione Montagna. «Si caga addosso certo – dice il presunto capomafia Nugara – ma nessuno niente gli fa, che nessuno si sporca le mani con questo». E ancora: «Se lo avessero voluto punire, dovevano aspettare. È nessuno mischiato con niente, lui è contro questa cosa, si è buttato contro insieme con gli altri imprenditori». L’avvocata di Cutrò fa notare che «l’operazione dimostra che la mafia non dimentica, che è capaci di muoversi per lungo tempo senza clamore, che ha la pazienza di aspettare che lo Stato si stanchi».
«È vero – dice Cutrò – da quando sono finiti i processi, non mi sono più arrivate minacce, ma le intercettazioni parlano chiaro. La mia paura è che anche questa cosa passi, venga dimenticata, e poi mi fanno secco. Forse aveva ragione Paolo Borsellino, che un popolo che non ha memoria è un popolo senza futuro». Per evitare tutto questo, il deputato Mattiello chiede che «il Viminale riconsideri la situazione, urgentemente». Anche perché, si chiede, «è possibile che gli organi investigativi non avessero contezza dell’attualità e della gravità delle minacce? Non serviva svelare nessun segreto, non c’era bisogno di portare le intercettazioni, bastava che qualcuno dicesse: “Ci risulta che questi sono ancora arrabbiati”».
Il parlamentare ricorda come la Commissione che decide sul sistema di protezione si è basata su due relazioni chieste al Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza, e che in entrambe le occasioni le locali forze investigative e inquirenti hanno tranquillizzato sul venir meno di pericoli per Cutrò. La stessa Antimafia regionale chiese conto all’allora viceministro dell’Interno Bubbico, il quale non potè far altro che dichiarare di aver preso atto delle informazioni che arrivavano dalla Sicilia. «Adesso – continua Mattiello, che ha inviato una nota formale al ministero dell’Interno – serve che il Viminale interenga perché a Cutro, alla sua famiglia e a tutti noi spetta una risposta. Il contenuto delle intercettazioni mi sembra inequivocabile. Non posso apprezzare l’efficacia di quelle parole, questo spetta agli organi investigativi. Ma in ogni caso – conclude – il ministero deve rispondere».
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