Alzi la mano chi se n’è accorto. Pochi? Nessuno?… Io sì, ma ho il vantaggio della lontananza (vivo e insegno da più di trent’anni a Firenze). Lontananza che durante i brevi periodi di ritorno determina l’effetto dello straniamento, risveglia l’attenzione, e così ho fatto un balzo, ho esclamato, con un’espressione acquisita (che nell’idioma originario sarebbe stata ben altra): “Ma ti rendi conto?! Un fatto epocale! Parlo della demolizione di quel palazzo mezzo crollato che da più di cinquant’anni incombeva all’angolo tra viale Vittorio Veneto e via Giacomo Leopardi a Catania, e che, ci puoi giurare, la stragrande maggioranza dei catanesi non vedeva più. Io sì, ma, ripeto, credo di aver cominciato a vederlo solo dopo aver lasciato la città.
Prima anche per me era un oggetto non percepito sebbene interno al campo visivo (il fenomeno è noto in psicologia e c’è chi gli attribuisce grande rilevanza, ma sarebbe lungo parlarne); ogni volta che tornavo mi fermavo a contemplarlo, mi chiedevo come fosse possibile, in una zona centrale, in un quartiere che è considerato “elegante”, chiedevo a qualcuno più competente di me se le autorità cittadine non avessero alcun potere di intervento, per esempio un esproprio, l’ingiunzione di demolizione ai proprietari, oppure pensavo a una scelta paradossale: trasformarlo in un monumento dedicato a Sarajevo, a Bagdad, a Belgrado, a Groznyj, a Beirut, a Tskhinvali, a Tblisi, a tutte le città di cui i giornali e le TV ci hanno mostrato e continuano a mostrarci le distruzioni, edifici di civile abitazione nel mezzo delle città dove vive la gente comune, anneriti dalle bombe, sventrati o ridotti a cumuli di macerie nelle assurde guerre dei nostri tempi, un monumento che suscitasse quello straniamento di cui ci sarebbe bisogno per guardare con un’altra attenzione, tra una velina e un finto naufrago famoso, le cronache televisive dei conflitti militari. Ora quel palazzo non c’è più, ma l’idea paradossale potrebbe essere realizzata, sempre a Catania, in Corso Italia dove c’è ancora il rudere di quella magnifica villa liberty che, a quanto ne so, fu parzialmente distrutta nottetempo, tanti anni fa, per fare spazio a una futura speculazione, ma la distruzione rimase a metà per il tempestivo intervento delle forze dell’ordine. E poi a Catania è ancora aperta l’immensa ferita inferta al tessuto urbano con lo sventramento del vecchio S.Berillo: l’incomprensibile radura che dalla stazione si estende verso la piazza più centrale della città, ricordo alcuni anni fa un amico forestiero, giunto in treno, che non riusciva a capire…È attorno a quel vuoto che la città è cresciuta in questi cinquant’anni, con quel vuoto dentro, involontario simbolo di tutte le devastazioni dei tempi di pace o di guerra, che ora, a quanto annunciato, sarà colmato da una prossima riedificazione secondo un progetto a cui tutti i catanesi dovrebbero prestare attenzione, come oggi a quel vuoto magari per riuscire a capirlo prima che venga cancellato.
Un pregiudicato 40enne di Grammichele gambizzato con due colpi di pistola nella piazza centrale della…
Aumenta la povertà a Catania. Lo rilevano i numeri dei servizi della Caritas diocesana presentati stamane…
«Riuniamoci e facciamogli guerra». Video pubblicati sul suo profilo social da un 60enne catanese, già…
Una grossa tartaruga Caretta caretta è stata trovata morta in una spiaggia a San Leone,…
Ci sono anche province siciliane tra le 33 in tutta Italia in cui la polizia…
Una casa nel centro storico di Ispica (in provincia di Ragusa) trasformata in un bunker…