«Ogni impedimento è giovamento». Lo ripete più volte Fabio Chianchiano, dopo essere stato fermato da un posto di blocco dei carabinieri nei pressi dello Zen. È il 2014 e da lì a breve, in effetti, il pluripregiudicato palermitano (per reati contro il patrimonio, armi, detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti) sarebbe diventato, secondo gli investigatori, uno dei volti più noti nel traffico di cocaina in città. A lui si sarebbe rivolta addirittura Cosa nostra, che pare riconoscergli una buona capacità di mediazione tra i conflitti, un’ampia disposizione di persone e una discreta dose di carisma. Tanto da spingerlo a diventare punto di riferimento della mafia nel traffico di stupefacenti, soprattutto in quella cocaina che spesso inonda i salotti della Palermo bene. Con un accordo chiaro: a fronte del palese appoggio, Chianchiano si sarebbe impegnato a versare una quota di tremila euro a Cosa nostra per ogni chilo di droga venduta.
Un affare sventato ieri dall’operazione con la quale la squadra mobile di Palermo ha sgominato le famiglie mafiose del mandamento di San Lorenzo-Tommaso Natale. E che ha posto fine al presunto monopolio di Chianchiano allo Zen. Il suo impero, ricostruiscono gli inquirenti, comincia alla fine del 2013, quando Cosa nostra manifesta una crescente insofferenza nei confronti dell’allora reggente Onofrio Terracchio. Troppo «incostante», secondo le famiglie mafiose, di lui non ci si può fidare. Ecco allora che sarebbe venuto fuori il nome di Fabio Chianchiano: volto noto alle forze dell’ordine (già arrestato per l’omicidio di Franco Mazzè), su di lui Cosa nostra avrebbe puntato soprattutto per penetrare in un quartiere difficile come lo Zen. Dove a regnare è una sorta di anarchia criminale. Un’assenza di regole che non piace alla mafia. «Con lui abbiamo sistemato un po’ di cose; allo Zen è un macello, spacciano pure i bambini», racconta Silvio Guerrera, ex reggente della famiglia di Tommaso Natale e attuale collaboratore di giustizia.
E dalle sue testimonianze, corroborate da un ampio lavoro di indagine di forze dell’ordine e magistratura, viene fuori un quadro preciso. Ci avrebbe messo poco, Chianchiano, a diventare l’unico fornitore di cocaina degli altri trafficanti di sostanza stupefacente presente allo Zen e negli altri quartieri del mandamento mafioso. Dalla sua avrebbe anche una notevole disponibilità di armi e munizioni. E nel quartiere la sua presenza non si sarebbe limitata alla cocaina: gli inquirenti infatti, nel corso delle indagini, scoprono che avrebbe avuto anche un prestanome nella gestione di un’agenzia di scommesse.
Si tratterebbe del suo fedelissimo Antonino Giambona, autista personale che risulta intestatario dell’attività commerciale in via Einaudi, e che in realtà sarebbe servito esclusivamente a eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniale. «Un furbone, un furbone pieno di soldi» lo definisce un altro collaboratore di giustizia, Sergio Macaluso, con «un motoscafo da 80mila euro». Da parte sua Chianchiano, scrivono ancora gli inquirenti, lamentava una «certa mancanza di rispetto», in quanto veniva trattato come uno qualsiasi, cosa che avrebbe potuto generare una scarsa considerazione nei suoi confronti. Perché di spaccio Chianchiano si intendeva già prima del supporto mafioso. Eppure, come ricorda Guerrera ai pm, «noi lo stavamo facendo più ingrandire di quello che era».
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