L’unione falla forse, un film necessario sulla comunità Lgbt «Dopo il voto delle Europee omofobi sempre più al potere»

«Se si guarda alle Europee si nota che il 40 per cento dei voti, di coloro che sono andati a votare, è andato a quella gente lì». Quella «gente lì», come la definisce il regista pugliese Fabio Leli per marcarne le distanze, è quell’ampia fetta di destra – Lega e Fratelli d’Italia soprattutto, ma anche alcuni esponenti della più moderata Forza Italia – che «ha partecipato al recente Congresso delle Famiglie a Verona». Quella «gente lì» che è protagonista del suo documentario L’unione falla forse, il film contro l’omofobia e a favore dell’unione civili che viene proiettato oggi e domani a Palermo. In un clima politico, dunque, che rende ancor più necessaria la visione della pellicola – non solo per la comunità Lgbt.

Anche perché, come fa notare lo stesso Leli, «Massimo Gandolfini, che è il leader del Family Day, è riuscito a piazzare al governo i ministri Marco Bussetti e Lorenzo Fontana, col senatore Simone Pillon che acquisisce sempre più spazio. La mossa della Lega di portarsi dietro questa gente sta pagando in termini elettorali. Gli omofobi cioè sono al potere, decidono ora delle vite degli altri». Il giovane regista pugliese, classe 1986, nel 2015 ha realizzato un film, Vivere alla grande, che era un feroce e dettagliato j’accuse sul mondo del gioco d’azzardo. A distanza di quattro anni si occupa di un altro tema pregnante, ovvero l’omofobia imperante che, proprio come il gioco d’azzardo, continua a diffondersi in maniera silente ma pervicace.

«Sono partito a interessarmi del tema a partire dalla discussione sulla legge per le unione civili nel 2016 – racconta il regista – Seguendo il dibattito alla Camera e al Senato, e soprattutto la manifestazione del Family Day al Circo Massimo, ho scoperto che c’erano tutti questi movimenti contrari all’approvazione della legge. Un’opposizione che mi sembrava una follia, e dunque ho deciso di approfondire chi ci fosse dietro questi movimenti che, dietro la difesa della famiglia, nascondono in realtà una pura omofobia. Dato che faccio parte di una famiglia eterosessuale, o normale o tradizionale come dicono loro, non riuscivo a capire come l’unione tra due persone dello stesso sesso potesse minacciare me, la mia famiglia, o tutte le altre. È una sorta di aggiornamento di sistema, il loro: dicono di non essere contro nessuno, ma in realtà non è così. E per scoprirlo basta parlarci».

Il film infatti compie una scelta precisa, cioè quella di far parlare esclusivamente gli omofobi. Non per sostenere quelle tesi ma, al contrario, per mostrarne le insulse teorie e quel vittimismo che politicamente continua a far proseliti. «Sono gruppi di potere che hanno consenso e finanziamenti ingenti – spiega ancora Leli – Al contrario del mio lavoro precedente, dove avevo una parte attiva e quasi da cronista, qui mi sono eclissato. Non ho mai contraddetto nessuno o contestato alcunché, perché il mio lavoro è stato quasi quello dell’attore, nel senso che anzi avvaloravo quello che dicevano proprio per far uscire fuori i loro camuffamenti». 

Tramite l’associazione Famiglie Arcobaleno l’autore ha raggiunto le due famiglie protagoniste del film: una di queste è palermitana, composta da due donne che hanno avuto una bambina tramite inseminazione in Spagna, sono riuscite a iscriversi al registro delle unioni civili e l’anno scorso hanno visto i propri figli e le proprie figlie riconosciute dal Comune. Il film mostra la vita tranquilla e serena della famiglia palermitana, e di una coppia di ragazzi pugliesi con due bambini, che viene interrotta dalle interviste ad esponenti di partiti e movimenti vicini al Family Day e al recente Congresso delle Famiglie, tra cui Mario Adinolfi, Gianfranco Amato, Silvana de Mari e Massimo Gandolfini, che espongono liberamente le proprie idee sull’introduzione della legge, sul tema dell’omofobia e sull’omosessualità. Un contrasto agghiacciante e che le famiglie arcobaleno hanno accettato volentieri, con qualche iniziale dubbio che si è subito disciolto. «Sono andato molte volte da loro, e ho dovuto fare un’opera di convincimento – dice il regista  – perché non era facile far capire che volevo fare un film contro l’omofobia facendo parlare solo gli omofobi. Fortunamente ho trovato persone fantastiche, sia a Bari che a Palermo, che mi hanno aiutato molto». 

Andrea Turco

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