L’ultimo Inquisitore – Goya’s Ghosts

Titolo: L’ultimo Inquisitore (Goya’s Ghosts).
Regia: Milos Forman. Soggetto: Jean-Claude Carrière.
Sceneggiatura: Milos Forman,  Jean-Claude Carrière.
Fotografia: Javier Aguirresarobe.
Musica: Josè Niets, Vorhan Orchestrovich Bauer.
Montaggio: Adam Boome.
Interpreti: Javier Bardem, Natalie Portman, Stellan Skarsgård, Randy Quaid, Wael Al Moubayed, Simó Andreu, Scott Cleverdon.
Produzione: Kanzaman S.A., The Saul Zaentz Company, Xuxa Producciones S.L.
Origine: Spagna, 2006.
Durata: 117’.

Un’attesa di sette anni, agognando l’ultimo lavoro del regista di Amadeus e di Qualcuno volò sul nido del cuculo, aspettandosi un’altra pellicola degna del valore del suo regista: un’attesa che lascia spazio solo ad una grande delusione.

Spagna. 1792. Il pittore Francisco Goya gode del suo apice di gloria: da un lato pittore di corte e ricercatissimo ritrattista, dall’altro testimone e immortalatore della miseria del popolo e della barbarie di una feroce Inquisizione negli ultimi anni del suo potere. La giovane Ines, sua musa, viene arrestata per eresia e in carcere incontra un ambizioso e astuto inquisitore, Frate Lorenzo, che abuserà della sua ingenuità, e, costretto a lasciare la Spagna, vi tornerà anni dopo sotto vesti nuove.

Milos Forman, appassionato di intrecci di vita personale inscritti in particolari momenti storici, si cimenta in un film molto complesso non solo per il pesante e controverso periodo storico che mette in scena, ma anche e soprattutto per il complicatissimo intreccio che si viene a formare tra questo e i personaggi. Qualche colpo registicamente azzeccato non aiuta né migliora nel complesso il film, che non denota nessun affondo decisivo nel ritratto della Spagna a cavallo tra Inquisizione e Monarchia, dall’arrivo dei francesi a quello degli inglesi. Presente, inoltre, qualche pecca dal punto di vista narrativo: lineare nella prima parte, con una scena che da sola vale il prezzo del biglietto (la cena); nella seconda, invece, si perde nel seguire a turno i personaggi del film, perdendo di vista il contesto generale.
Difatti, con una fotografia piatta, e una musica quasi inesistente e poco efficace, Forman realizza un film che tentenna e in cui non troviamo un tema principale, né un vero e proprio protagonista (come invece forse il titolo suggerirebbe). Se nelle prime scene viene immortalato “l’ipotetico” tema del film, i fantasmi di Goya appunto, attraverso le immagini di alcune sue opere dal carattere grottesco, il resto del film è un miscuglio di possibili intrecci e cambi di personalità e vita un po’ troppo repentini, che esulano dal tema (sempre ipotetico). Perché, se il titolo fa pensare ad un film incentrato su Goya, in effetti non è assolutamente così. Ciò su cui forse è davvero incentrata l’attenzione è la società, che assiste fredda e impassibile al susseguirsi degli eventi, sempre alla ricerca di altri fantocci da incitare, presunte verità da sostenere e nuovi «meritevoli» da giustiziare. Una società che, inoltre, deve fare i conti con uno spietato e rigidissimo controllo dell’Inquisizione, pronta a tutto per affermare le sue verità: uomini corrotti, approfittatori, che credono ciecamente in dottrine false e che hanno a cuore solo i loro interessi. Arresti, impiccagioni e torture, che diventano ispirazioni per Goya, che dipinge soggetti grotteschi, ripugnanti, mostri non puramente inventati, ma generati dall’osservazione del mondo e della società di quel periodo.
Interessante, anche se poco approfondita, la figura del pittore, le suggestioni immortalate nella sua opera e l’inquietudine che la pervade.

Si intuisce l’idea e la visione del regista, ma la realizzazione resta forzata, parziale e frammentaria, innaturale anche per le esagerazioni recitative degli attori.
Nel finale, poi, vediamo proprio il culmine della decadenza: la scena, che potrebbe apparire quasi divertente, è solo la realizzazione della tragedia che il film vuole narrare: tragedia che, in definitiva, è la vita stessa. Alla fine non sorgono vincitori: solo un susseguirsi del tempo tra eventi e storia che porta unicamente disgregazione e negatività nei personaggi; un tempo che sconvolge, ma che si ripete, tornando sempre al punto iniziale.

Carmela Sicuro

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