La missione finale è la promozione in A e questa non è stata ancora portata a termine. Per raggiungere il traguardo, tuttavia, il Palermo ieri doveva necessariamente superare uno step fondamentale qualificandosi per la finale playoff e questo obiettivo intermedio è stato centrato (l’avversario sarà il Frosinone, che ha pareggiato in casa 1-1 con il Cittadella, con andata mercoledì sera al Barbera e ritorno sabato 16 giugno in Ciociaria) in virtù del successo casalingo per 1-0 con il Venezia nella semifinale di ritorno. Una partita, paragonabile ad un esame di maturità per il modo in cui era strutturata e per la delicatezza dell’impegno nell’economia della stagione, nella quale gli uomini di Stellone hanno superato contestualmente più di una prova nell’ambito della stessa gara.
Alla vigilia ci eravamo posti alcune domande prendendo spunto dai feedback ricevuti in diverse circostanze dai rosanero: dal punto di vista psicologico che impatto avrà il pienone del Barbera considerando che nella stagione regolare la squadra ha vinto in casa una sola volta (contro il Frosinone) davanti a più di 10 mila spettatori? E il Palermo come affronterà il match di ritorno con i lagunari dopo l’1-1 maturato all’andata sapendo di avere due risultati su tre a disposizione? Risposta al primo interrogativo: a differenza ad esempio del match con il Cesena nel quale ha subìto un condizionamento negativo, ieri la squadra ha saputo sfruttare il calore del pubblico (e il dato relativo ai 28.152 biglietti emessi coincide con il nuovo record stagionale di presenze) incanalandolo nei binari giusti. Trasformandolo in un’arma a proprio favore e in un prezioso alleato nel cammino, non privo di difficoltà, verso la qualificazione.
Risposta al secondo interrogativo: gli uomini di Stellone hanno interpretato bene la gara complice il gol del vantaggio (e del definitivo 1-0) siglato dopo appena sei minuti in virtù di un’autorete di Domizzi propiziata da una mancata trattenuta del portiere Audero sugli sviluppi di un tiro di Trajkovski sulla traiettoria di una conclusione sporca di Rispoli. Bravi i padroni di casa a orientare il match verso la direzione che volevano: dopo la rete dell’1-0 sono rimasti sempre sul pezzo e, a prescindere dagli ottimi interventi di Pomini provvidenziale in particolare al 12’ del primo tempo su un tiro di Pinato (espulso in zona Cesarini per un fallo su Jajalo) e al 20’ della ripresa con i piedi su un colpo di testa ravvicinato di Geijo, si sono difesi con ordine senza mai rinunciare alle proprie proiezioni offensive. Il Palermo ha mostrato compattezza e ha saputo soffrire nei momenti in cui, anche per colpa del calo fisico di diversi giocatori nella ripresa, la formazione di Inzaghi (applaudita al termine della gara dal pubblico del Barbera) avanzava il proprio baricentro portando più uomini nella metà campo avversaria alla ricerca di un gol che avrebbe riaperto i giochi in chiave qualificazione.
Uno degli aspetti più importanti, anche in funzione del doppio confronto in finale, è il passo avanti che il gruppo ha compiuto sul piano mentale. Schierati inizialmente con un 4-3-2-1 con Coronado e Trajkovski a supporto di La Gumina (e nella ripresa ad un certo punto con un 4-4-1-1 al cospetto del 4-4-2 a trazione anteriore degli ospiti, in campo dal primo minuto con il consueto 3-5-2), i rosanero hanno vinto usando la testa. Mostrando lucidità, al netto di qualche sbavatura evitabile di Gnahoré, e giocando con la mentalità tipica di una squadra come il Venezia. Indossando, cioè, la tuta da operaio e svolgendo il proprio lavoro con umiltà e spirito di sacrificio. Virtù esibite, ad esempio, dai centrali difensivi Bellusci e Rajkovic, da Coronado nella marcatura in fase di non possesso su Stulac (uno dei giocatori arancioneroverdi più temibili con i suoi tiri da fuori area) e anche da La Gumina che, al netto del rigore parato nel finale da Audero, ha lottato con grande generosità costringendo più volte al fallo i diretti marcatori spiazzati dai continui movimenti dell’attaccante palermitano.
Se il Palermo ha staccato il biglietto per la finale il merito è della squadra ma anche dell’allenatore. Stellone, ancora imbattuto sulla panchina dei siciliani, sembra avere trovato le chiavi che servono per entrare nella mente di questa squadra e farla rendere in un certo modo. I rosanero concedono poco allo spettacolo (e questo, onestamente, succedeva anche prima con Tedino) ma badando alla sostanza e sfruttando precise caratteristiche come la fisicità riescono ugualmente a portare a casa ciò che vogliono. E adesso, a quanto pare, hanno imparato anche a leggere i diversi momenti di una partita. Un miglioramento, quest’ultimo, che potrebbe avere un notevole peso specifico anche nella finale playoff con il Frosinone.
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