Luca Parmitano, a Catania «per una promessa» «La ricerca va raccontata, lo spazio è della gente»

«Sono qui perché lo avevo promesso». Astro Luca, il primo italiano a fare una passeggiata nello spazio, portata a termine con successo nel novembre del 2013, torna nella sua città per raccontare ai catanesi i sei mesi trascorsi nello spazio per il programma Sojuz. E a due anni di distanza dal suo viaggio spaziale Luca Parmitano porta a Catania il libro Volare – 166 giorni con @stroluca, scritto dopo il suo rientro dalla Stazione spaziale internazionale. Un diario di bordo in cui l’astronauta siciliano racconta i momenti vissuti in orbita. Il libro è stato presentato l’anno scorso a Roma, ma Parmitano desiderava un incontro con i fan catanesi, tra cui tanti ragazzi che sognano una carriera come la sua, che lo hanno seguito attraverso i social durante i sei mesi di lavoro. «Avevo promesso di fare una presentazione in mezzo alla mia gente, nella mia città – dice – Ma a causa della distanza (oggi vive negli Stati Uniti, ndr) non era stato possibile fino a oggi». Parmitano, paternese di nascita e catanese d’adozione, ha spiegato al pubblico perché il libro è stato scritto e cosa c’è dietro, ricordando anche i passaggi salienti di questa avventura. 

L’astronauta è partito il 28 maggio 2013 ed è stato in orbita per 166 giorni. «Chi mi ha seguito sa che ho cercato di portare avanti una conversazione con il pubblico a terra. Credo sia indispensabile che esista un interesse da parte della gente per lo spazio, per questo ambiente fuori dal comune che è la Stazione spaziale internazionale». Il problema dello spazio, secondo l’astronauta, sta nel fatto che è lontano dalle persone e spesso non si capisce fino in fondo quanto il lavoro svolto in orbita sia importante e abbia impatto sulla nostra quotidianità. «Facciamo cose fantastiche che non vengono raccontate nel modo giusto e non arrivano alle persone. Mi piace l’idea di una popolarizzazione dell’argomento, perché lo spazio è della gente».

Sono tre le parole che Parmitano vuole rimangano nelle persone dopo aver ascoltato la sua esperienza: scienza, tecnologia ed esplorazione. «Perché – chiede – si manda un uomo a volare in un’orbita attorno alla Terra? Per la scienza». La stazione spaziale, come spiega, è un laboratorio unico al mondo perché gli esperimenti e i lavori fatti nello spazio senza la forza di gravità non si possono fare sulla terra. E la tecnologia è strettamente collegata alla scienza perché permette ricerche più accurate e costruisce nuova scienza. «Anche le esplorazioni sono una parte fondamentale del lavoro – aggiunge – perché quando le nuove generazioni andranno su Marte dovranno usare la tecnologia sperimentata adesso».

«Vi ho stancati?», scherza l’astronauta dopo la spiegazione tecnica della missione. E racconta con un video l’inizio del suo viaggio, la navicella che prende vita, la passeggiata dalla terra alla stazione spaziale in sole sei ore, la prima volta che questo tragitto viene svolto in così poco tempo. «Mi hanno definito l’uomo più felice del pianeta – racconta ancora Astro Luca – ma forse il segreto era proprio stare fuori dalla Terra. Quando ho varcato la soglia della navicella ero felice come un bambino che corona il suo sogno». Legge un brano dal libro, scritto dopo un paio di mesi dal ritorno a casa, dove racconta il momento in cui l’organismo si adatta fisiologicamente all’assenza di gravità e si prende confidenza con la vita nella navicella. «Quel momento è il simbolo dell’aver conquistato la capacità di muoversi in maniera verticale. Un successo quando sei nello spazio».

Luca Parmitano sottolinea come per troppi anni ci sia stata la tendenza a vedere gli astronauti come superuomini su un piedistallo. Ma sono solo uomini che hanno la possibilità di fare cose straordinarie. «Vorrei restare con i piedi ben piantati per terra». Ma chissà se sarà possibile per un astronauta che sogna Marte e la Luna.

Giorgia Lodato

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