Louise Michel, avvertenze per l’uso

Informo i gentili lettori di due cose. La prima: Louise Michel, prossimo appuntamento della rassegna Learn by movies, sarà proiettato in due spettacoli, alle 21 e alle 22.45, per non affollare troppo l’Arena Argetina. Quindi non ammassatevi, c’è posto per tutti. La seconda: se durante il film non sapete se ridere o piangere, non preoccupatevi, meglio una bella risata. Louise Michel è una commedia nera, nerissima, che riesce a parlare della crisi meglio di tanti parrucconi mucciniani, senza pietismi e con una buona dosa di ironia feroce, estrema. Un sarcasmo che è anche una sonora risposta alla stessa crisi. O meglio uno schiaffo, un pugno, uno sparo dritto in faccia. Certo, non la risposta democratica e razionale che si potesse sperare, ma forse l’unica in grado di saper scuotere.

E il film ha scosso tutti, sbancando i botteghini francesi sotto Natale (beati loro che non hanno a che fare con Boldi e De Sica ogni maledetta festività). Ha convinto critica e pubblico al Sundance Film Festival, vetrina di film indipendenti che spesso hanno come protagonisti gli emarginati, gli esclusi, i loosers, perdenti alla Little Miss Sunshine. Perdenti più sbandati di questi però non si erano mai visti: lei, Louise, in realtà è un lui, ex galeotto sbattuto fuori dalla fabbrica in cui lavorava insieme alle sue colleghe, pronte a vendicarsi del capitalista fedifrago scappato con la cassa. Lui, Michel, killer che custodisce un arsenale nella sua roulotte, in realtà ama mettersi degli orrendi tutù, non sa sparare e anche lui è sessualmente confuso. Non proprio l’individuo perfetto da ingaggiare per un omicidio. Insieme formano il nome di un’anarchica francese del 1800, buon segno visto che i due si scagliano come mine vaganti contro un sistema marcio, fatto di paradisi fiscali e ricchi imprenditori con villa, piscina e auricolare all’orecchio per seguire le quotazioni in borsa. Un sistema che finge di crollare per spostare i suoi investimenti altrove, in cerca di altri schiavi con meno pretese e guai a parlare di liquidazione. La soluzione a tutto ciò non sta certo in un colpo di pistola e non è nemmeno da condividere. Ma prendiamola più come un gesto simbolico, come l’unico atto capace di svegliare la massa dormiente, che crede di assistere a una folle commedia, in realtà la vive ogni giorno e ancora non lo sa.

Reagire, questo è il motto che gli stessi registi, Gustave de Kevern e Benoit Delèpine, hanno ripetuto come un mantra in varie interviste. Non prendete alla lettera le gesta folli di Louise e Michel, semmai bisogna trarne il lato edificante della vicenda, il messaggio toccante che alla fine balza fuori improvviso e beffardo. Nonostante il grigiore della pellicola, nonostante la risata amara, nonostante la crisi, nonostante tutto, l’amore vince sempre sull’invidia e sull’odio. E stavolta si tratta di amore vero.

Roberto Zito

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