Un uomo con la faccia di Franz Biberkopf lo invita al suo tavolo. Non è possibile, pensa, Franzino Biberkopfino, ex cementiere e facchino, ex carcerato e ruffiano e senza un braccio è morto. Persino la Berlino del 28 non esiste più. Né i cieli, né le nuvole del 28 esistono più. Né la piccola Mieze, uccisa a Freienwald da quel porco di Reinhold, esiste più. Né Alfred Doblin più né la sua Berlin Alexanderplatz esistono più. Comunque, a sentir lui, ne ha di cose da raccontargli. Così si convince e si accofola. La poltroncina comoda, il tavolino a misura, due boccali di birra chiara, e il traffico oltre i vetri che scorre liscio e senza sonoro. E tutto a posto.
Questa mattina, inizia, ha dovuto scucire i bei soldoni. Quel damerino dellavvocato della moglie lo ha aspettato sotto casa e zac, lo blocca e lo costringe a tirar fuori il portafogli. Cinquanta marchi, dice, praticamente la paga di due settimane. Ora gli restano soltanto i soldi per le birre, se vuole favorire, prego, può pagare lui, senza offesa. Mentre lo ascolta, si viene convincendo che è veramente somigliante: questa è la parlata di Franz, sicuro, e i modi sono i suoi. Ma come mai lo pagano ancora in marchi? Accanto al loro tavolo, cioè, non proprio accanto, ma un po più in là, due belle ragazze intanto si baciano sulle bocche. Lui è in debito con Franz, si dice, mentre torna a guardarlo, con tutta la sua storia, e anche se non è veramente lui non gli importa. Dunque decide di pagare, e in più gli mette tra le mani un centone. Subito dopo però pensa che quello ragiona ancora in marchi e tira indietro, distinto, la mano. Ma vanno bene uguale, dai, troverà da cambiare, e infatti quello prende con sé il denaro del compare. Alle 15 e 45, ora di Tokyo, si allontana. Il bar è allangolo di una bella strada, e langelo Franz, completamente brillo, lo saluta sbattendo lunica ala.
foto tratta da phil.uni-passau.de
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