Lombardo, il presidente tutto io tutto mio…

Che differenza c’è tra un assessore regionale della Toscana, dell’Emila Romagna, della Lombardia o del Veneto e un assessore della Sicilia Regione ‘Autonoma’?

In primo luogo, l’approccio. Nelle Regioni del Centro Nord Italia, chi va ad amministrare la cosa pubblica – per esempio, un assessorato regionale, qualunque branca dell’amministrazione sia – sa, è convinto che, in primo luogo, dovrà – nell’esercizio della propria attività – fornire risposte a chi è amministrato. Cioè ai cittadini.

Magari non tutto quello che farà sarà fatto nell’interesse pubblico. Ma nell’attività di un assessore di una qualunque Regione del Centro Nord Italia c’è comunque, almeno in parte, la tutela dell’interesse pubblico. Ripetiamo: anche da quelle parti si ‘chiudono’ certe operazioni. Ma le cose si fanno. Ai cittadini elettori si danno risposte. 

In Sicilia, purtroppo, questo non avviene. Dalle nostre parti, nella stragrande maggioranza dei casi, quando un politico riesce a conquiestare la sospirata poltrona di assessore regionale, la prima cosa che pensa e che comenta con i fidati collaboratori non appena si ritrova seduto si sintetizza nella seguente frase: “Ora viremu c’amu a fari…”. Di tutto si parla, tranne che d’interesse pubblico. E se qualche riposta andrà data ai cittadini, sarà – nel 99,9 periodico per cento dei casi una risposta clientelare. L’interesse privato prima dell’interesse pubblico.  

Il problema, in Sicilia, è generale. Sarebbe, però, un errore estendere questa descrizione ai Comuni. Perché nei Comuni, bene o male, vuoi per il rapporto diretto che spesso il Sindaco intrattiene con la gente, vuoi perché gli stessi elettori sono molto più attenti, certe degenerazioni non si verificano.

Diverso, molto diverso il rapporto, quasi patologico, che si determina tra politica e gestione del potere negli uffici della Regione. Anche se non sempre è stato così. Il primo presidente della Regione siciliana, Giuseppe Alessi, non si sarebbe mai sognato di spendere una sola lira della Regione per fini privati. O di calpestare le leggi per favorire un amico (cosa assolutamente ordinaria in Sicilia). Per Alessi sarebbe stato impossibile anche pensare cose del genere.

Franco Restivo – forse uno dei più grandi e lungimiranti presidenti della storia dell’Autonomia siciliana – spesso criticato come uomo di potere della Dc, mai e poi mai, da amministratore regionale, fece qualcosa che non era espressione del rigoroso rispetto dell’interesse pubblico. Idem per Giuseppe La Loggia. Lo stesso Silvio Milazzo, protagonista di una stagione politica in chiaro-scuro, era una grandissima persona per bene. Per non parlare di Giuseppe D’Angelo, democristiano pure lui, che negli anni ‘60 provò – con quarant’anni di anticipo – a cacciare i mafiosi dalla gestione della cosa pubblica. Pagando di persona – con la sua mancata rielezione – il tentativo di mettere alla porta i ‘cugini ggabellieri’ di Salemi, Nino e Ignazio Salvo.

Nessuno di questi uomini politici si sarebbe mai sognato di approfittare del proprio ruolo di governo. Lo stesso discorso vale per Piersanti Mattarella, che diventa presidente della Regione in un momento storico – il 1978 – in cui la degenerazione ‘partitocratica’ era già spinta. Ed è anche per questo – per la sua assoluta onestà politica, morale e personale – che viene barbaramente assassinato da una politica (mescolata con la mafia) già allora in stato di avanzata degenerazione.

Lo stesso Rino Nicolosi – presidente della Regione dal 1985 al 1991 – anche lui criticato per i metodi che utilizzava, aveva però un progetto politico. Si era messo in testa di modernizzare la Sicilia. Di risolvere l’annoso problema dell’acqua. Di avviare il piano telematico, anticipando l’era di internet. Nicolosi prova anche a rilanciare la programmazione. E scommette sulla formazione: non sulla legge 24 – che considerava comunque importante – ma sull’alta formazione.

Lungo la sua strada pagava ‘prezzi politici’ figli di quegli anni. I partiti, allora, andavano avanti a colpi di tangenti (oggi, invece…). La stessa politica regionale era vischiosa. Tutto, o quasi, allora, doveva passare da Sala d’Ercole (oggi, invece, da Sala d’Ercole, a parte il bilancio, non passa più nulla: si è passati da un eccesso all’altro). Mai e poi mai, per citare un esempio, un Governo regionale avrebbe provato – come sta provando a fare il Governo Lombardo – a consegnare le coste della Sicilia a un gruppo di privati: Sala d’Ercole non l’avrebbe consentito, anche perché, allora, i presidenti della Regione (e gli assessori) li eleggeva l’Assemblea regionale siciliana.

Quello che sta succedendo oggi n Sicilia non è mai successo. Complice, anche, una legge di riforma sbagliata. Ci riferiamo alla legge del 2001 che ha introdotto l’elezione diretta del presidente della Regione. Una legge fatta con ‘i piedi’. Che non ha calcolato affatto gli eventuali contrappesi indispensabilia bilanciare i poteri dell’esecutivo.

E’ bastata l’elezione a presidente della Regione di un personaggio come Raffaele Lombardo per mettere a nudo i problemi di una riforma disgraziata.

Prima il cambio di maggioranza senza passare dalle urne. Eletto nel centrodestra, Lombardo non ha esitato a governare con il centrosinistra. Poi è arrivato tutto il resto. Una sequela spaventosa di degenerazioni politiche e amministrative.

Gli assessori, nelle sua mani, sono diventati burattini. Con l’elezione del presidente della Regione e degli assessori da parte dell’Ars si creava, tra le forze politiche, un certo equilibrio. Gli assessori rispondevano al presidente dell Regione, ma rispondevano anche – anzi soprattutto – ai partiti o alle correnti dei partiti. Bene o male il potere non si concentrava in una sola figura. C’era un certo controllo democratico.

Con Lombardo tutto questo è scomparso. Nominando lui gli assessori, è a lui che dovevano rispondere. In questi quattro anni, se un assessore non ha obbedito ai suoi ‘ordini’, è stato prontamente cacciato e sostituito. Quella di Lombardo, tecnicamente, è stata una tirannide.

L’ultima giunta che ha varato – quella con dodici ‘tecnici’ – presentata come un fatto politico innovativo, risponde soltanto a un’esigenza del presidente: controllare personalmente tutte le branche dell’amministraazione, intervenendo direttamente, dando ordini, impartendo direttive. Tutto finalizzato alla gestione del potere (con notevolissimo aggravio finanziario per la Regione, come ha lucidamente evidenziato su questo giornale Pasquale Hamel, visto che, di fatto, i cittadini siciliani stanno pagando l’indennità ad altri dodici parlamentari regionali: circa 20 mila euro al mese ad ognuno dei dodici assessori ‘tecnici’).  

Il danno maggiore, però, Lombardo lo ha prodotto con i dirigenti generali. Già le leggi Bassanini e il decreto Cassese, per molti versi, sono discutibili. Ma diventano pericolosi se finiscno nelle mani di un personaggio spregiudicato come Lombardo. Il quale, in quattro anni, ha cambiato a ripetizione anche i dirigenti generali.

Questo punto merita una digressione. Prima c’erano i direttori regionali. Nominati dalla giunta, ma con alle spalle anni di esperienza. Piaccia o no, fino al 2001 la Regione siciliana è andata avanti con i direttori che erano tali di nome e di fatto.

Dal 2001 in poi – in coincidenza con l’applicazione della legge regionale numero 10 del 2000 – è iniziato il lento e inesorabile declino dell’amministrazione regionale. Che Lombardo, nella sua infinita bramosia di potere, ha accelerato, trascinando la Regione siciliana verso il baratro finanziario, con deficit accertato di oltre 5 miliardi di euro.

Non è un caso se il declino della Regione siciliana sia andata di pari passo con l’arrivo di dirigenti generali di spessore approssimativo, se non scadente. Nella pubblica amministrazione nulla è casuale. E tutto si paga. L’idea stessa di gestire come un fatto di potere personale i dirigenti generali è un’aporia amministrativa. Eppure abbiamo assistito anche a dirigenti generali ‘promossi’ tali da Lombardo e spediti nei dipartimenti per bloccare l’attività di assessori che si rifiutavano di obbedirgli. Assessori che il presidente non poteva cacciare per ‘occasionali’ questioni di equilibri di potere.

E’ successo con Marco Venturi (foto a sinistra tratta da ragusanews.com), assessore alle Attività produttive, legato ad Antonello Montante, oggi presidente di Confindutria Sicilia. Non potendo sbattere fuori Venturi, Lombardo ha provato a frenare la sua attività amministrativa mettendogli accanto un dirigente generale che aveva il compito di ostacolare l’assessore. Un vero e proprio delirio di onnipotenza.

E non è finita. Perché prima di andarsene Lombardo – così si dice – nominerà ancora dirigenti generali. Scegliendo, come ha fatto fino ad ora, i più ‘bravi’.

Torniamo, così, al discorso iniziale: l’interesse pubblico. Un concetto che in questi quattro anni, in Sicilia, è del tutto scomparso. L’aspetto che sconcerta è che ogni settore dell’amministrazione regionale, ogni angolo di ogni dipartimento è stato trasformato in un’occasione per fare affari. Per Lombardo e per i suoi assessori (tranne qualche eccezione) soprattutto negli ultimi due anni, l’attività amministrativa è consistita nella solita formula: ora viremu ‘c’amu a fari…

Stamattina abbiamo raccontato del grande affare della privatizzazione delle coste. Una cosa enorme. Che nemmeno per un istante Lombardo ha pensato di far conoscere all’Assemblea regionale siciliana e ai cittadini. Eppure si tratta di tutte le coste siciliane. Del futuro di un’Isola di 5 milioni di abitanti. Per Lombardo, la gestione di tutte le coste siciliane è diventato un affare suo personale, di qualche assessore e dei privati ai quali ha provato – finora, per fortuna, senza riuscirci – a cedere per 50 anni le coste della nostra Isola.

Ma non vi stupite: ha fatto così con tutto il resto. In questi giorni Sindaci delle isole minori della Sicilia protestano. C’è, irrisolto, il problema dei trasporti via nave. Lombardo ha affrontato la questione Siremar. Non, però, pensando agli abitanti degli arcipelaghi siciliani, ma provando a ‘pilotare’, in coppia con il suo fido assessore Gaetano Armao, la vicenda Siremar. Il gruppo sostenuto dall’accoppiata Lombardo-Armao c’era quasi riuscito (a prendersi la Siremar, ovviamente, non a risolvere i problemi degli abitanti delle isole minori). Ma è stato bloccato dalla Giustizia.

Che peccato! Perché nella testa di Lombardo e di Armao la gestione della Regione non è sturziano servizio in favore della collettività, ma occasione per ‘chiudere’ operazioni su operazioni: prendere, prendere, fortissimamente prendere. E al diavolo l’interesse pubblico!

E’ andata così anche con il rigassificatore di Porto Empedocle: Lombardo e il suo Mpa, nel 2007, erano contrari al progetto. Nel 2009 hanno cambiato opinione. Prendere a’mettere dentro’. Prendere, prendere, prendere. Per Lombardo, il presidente della Regione tutto io tutto mio, la Sicilia non è altro che una grande mammella da mungere.

Da manuale (Cencelli, ovviamente) quello che Lombardo e il suo degno compare Massimo Russo hanno combinato con la sanità. Ricordate? Prima hanno commissionato all’Università Bocconi di Milano uno studio per scegliere i direttori sulla base di criteri meritocratici, scientifici e bla bla bla. Poi, come in predecessori, hanno lottizzato selvaggiamente le Aziende sanitarie e ospedaliere. Quindi hanno lottizzato, a ‘umma ‘umma, tutti i posti di direttore sanitario e amministrativo.

Cos’è, oggi, la sanità pubblica di Lombardo e Russo? Un concentrato al cubo di clientele che funziona male. Funziona male  per i siciliani, costretti a subire una sanità pubblica scadente, con medici stressati. E non funziona nemmeno per lo stesso Governo regionale, che non riesce nemmeno ad avere un ritorno clientelare. Per il semplice fatto che Lombardo e Russo, vittime prime dei rispettivi deliri di onnipotenza, non si sono nemmeno accorti di aver fatto una brutta riforma contro la classe medica e paramedica.  

E oggi? Sono tutti scontenti. Per un altro motivo semplice: perché non si possono impiegare quattro anni a ‘chiudere operazioni’. Bisogna anche governare. Cosa che Lombardo, i suoi assessori e i suoi dirigenti generali hanno fatto solo in minima parte. Così, oggi, tutto sta crollando. Intere categorie sociali, economiche e amministrative (è il caso del 50 per cento dei Comuni dell’Isola, ormai in dissesto finanziario non dichiarato) sono alla frutta.

La Sicilia affonda. Se ne stanno accorgendo anche quelli che, fino a ieri, appoggiavano Lombardo. Se ne stanno accorgendo perché sono finiti i soldi e Lombardo non ha più cosa dare. Così ai tagli del Governo Monti si sommano i danni del Governo Lombardo.

Danni che oggi vediamo solo in parte. Solo chi conosce bene il bilancio regionale ha contezza dei danni prodotti da questo Governo. Il prossimo presidente della Regione, credeteci, avrà problemi. Molto seri. Perché i danni che hanno combinato Lombardo e compagni sono enormi. Indescrivibili. 

 

Giulio Ambrosetti

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