Un’archiviazione che sembrava quasi un passaggio burocratico. Prima dimenticato, poi sollecitato dal Csm e dalle proteste dei magistrati e adesso non accolto dal giudice. Si riapre il caso del governatore siciliano Raffaele Lombardo e del fratello Angelo, deputato nazionale Mpa, inizialmente coinvolti nell’indagine Iblis con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Un capo di imputazione poi derubricato a reato elettorale e per cui era stata chiesta l’archiviazione lo scorso novembre. Ma ieri è arrivata la prima decisione del giudice per le indagini preliminari Luigi Barone che ha fissato un’udienza camerale con le parti per il primo marzo. «Solo un modo per decidere in un caso delicato», minimizza Guido Ziccone, legale del presidente della Regione. Il non accoglimento della richiesta che avrebbe dovuto mettere fine alla vicenda, dice la legge.
E anche la fine di una polemica che ha coinvolto lo stesso palazzo di giustizia etneo. È il novembre del 2010 quando un blitz dei Carabinieri dà origine a una delle indagini più chiacchierate della città. Perché coinvolge diversi politici e imprenditori accusati di collusione con la criminalità organizzata e, tra questi, anche il presidente della Regione Raffaele Lombardo e il fratello Angelo, deputato nazionale autonomista eletto in modo poco pulito, secondo i magistrati. Ma trascorrono sei mesi e la situazione cambia. L’accusa di concorso esterno per i due fratelli non reggerebbe in giudizio, spiegano l’allora procuratore capo facente funzioni Michelangelo Patanè e l’aggiunto Carmelo Zuccaro. Che avocano le indagini e stralciano la posizione dei due, derubricando il capo d’imputazione a reato elettorale. I quattro sostituti procuratori titolari del caso, però, non sono d’accordo e ricorrono al Csm. Che, dal canto suo, non riscontra alcuna violazione. Ma sottolinea come il cambio di unaccusa con unaltra «non può certo comportare unelusione dellobbligo di sottoporre al vaglio del giudice» la scelta di archiviare lazione penale su fatti ipotizzati in precedenza. E così si arriva a novembre dello scorso anno, con una richiesta più dal sapore burocratico che di sostanza.
Almeno fino a ieri. «Come motivazione, nel provvedimento, leggo solo la volontà del giudice di assumere meglio i fatti incontrando le parti spiega Ziccone Secondo la mia interpretazione è un bene che una questione così complessa e di cui tanto si è discusso fuori dall’aula venga trattata anche in udienza». Ma il codice di procedura penale, con l’articolo 409, è chiaro e ammette poche interpretazioni. A meno di casi in cui sia stata presentata un’opposizione da una persona offesa, «il giudice, se accoglie la richiesta di archiviazione, pronuncia decreto motivato e restituisce gli atti al pubblico ministero». Nessun incontro chiarificatore e facoltativo. Se invece «non accoglie la richiesta, il giudice fissa la data dell’udienza in camera di consiglio». E la partita si riapre ufficialmente.
Dopo il primo marzo, infatti, Barone potrà decidere se disporre ulteriori indagini o richiedere al pubblico ministero la formulazione di un capo d’imputazione. A voler seguire il codice alla lettera, questa udienza sarebbe un punto di non ritorno: tra le sue pagine, infatti, non è contemplata la possibilità di un’archiviazione diretta. Ma l’interpretazione del giudice potrebbe essere più flessibile e così si aprirebbe una terza strada: dritta verso il punto di partenza. Il 6 febbraio, intanto, il governatore e il fratello saranno di nuovo davanti al giudice con l’accusa di voto di scambio.
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