«Alla Vucciria conosco qualche bravo ragazzo, però … però là deve fare il crack. Il crack, lo sa che cos’è il crack? … Lei basta che ha il crack e lavora». Parlava così Pietro Luisi, ritenuto uno degli uomini addetti alle trattative e all’acquisto di droga dalla Calabria della famiglia mafiosa di corso dei Mille, intercettato mentre discute al telefono con Francesco Barbaro, secondo gli investigatori della polizia, trafficante della ‘ndrina dei Barbaro di Platì, una delle più in risalto tra le maglie della ‘Ndrangheta calabrese. Un’intercettazione finita nel fascicolo dell’operazione Maredolce 2, che ha colpito la famiglia del mandamento di Brancaccio con 22 arresti tra cui non figura tuttavia quello di Luisi, che è riuscito a sfuggire alla cattura ed è attualmente latitante.
Un parere autorevole il suo, s’è vero come si legge nelle carte che era lui, insieme a Piero Di Marzo (genero del presunto boss Fabio Scimò, entrambi – Di Marzo e Scimò – arrestati nel corso dell’operazione della settimana scorsa), a svolgere personalmente i viaggi verso la Calabria. Verso una piazza molto diffidente, quella dei Barbaro, che ha esteso i propri tentacoli dal piccolo centro vicino Bagnara Calabra fino alla Lombardia, con un capofamiglia, Giuseppe, sicuro di affrontare «certi discorsi» solo all’interno della propria abitazione, dove c’era sempre una persona di guardia perché la casa non rimanesse mai vuota, evitando così spiacevoli intrusioni da parte di uomini delle forze dell’ordine intenzionati a piazzare cimici.
Ed è proprio con l’arresto di ieri dei carabinieri, che hanno portato in manette Luigi Abbate, 24enne della Vucciria solo omonimo di Gino ‘u Mitra, boss della Kalsa, che le parole di Luisi prendono fondamento. I due fatti di cronaca, l’operazione Maredolce 2 e l’arresto di Abbate, non sono in alcun modo collegati, ma è nel sequestro di 252 dosi di crack, insieme a quantità minori di cocaina, a casa di Abbate, che prende corpo il ritratto di un mercato, quello della droga derivata dalla coca, che si sta spostando da Ballarò e dai garage di Brancaccio per prendere piede soprattutto nel mercato storico, parte integrante della movida notturna palermitana. Come sempre sono stati i tanti movimenti attorno alla casa del giovane ad allertare i carabinieri che, come spiegato dal comando provinciale palermitano, sono continuamente impegnati sul fronte della lotta alla diffusione del crack, droga che per Palermo è abbastanza nuova e che fa breccia soprattutto tra i più giovani: l’acquirente fermato mentre usciva dall’abitazione di Abbate ha 21 anni, ma la diffusione pare essere massiva anche tra i minori.
A destare preoccupazione è anche il fatto che il commercio e la raffinazione del crack – che si ottiene tramite procedimenti facilmente riproducibili “in casa” con cocaina e bicarbonato o ammoniaca – non sia più appannaggio quasi esclusivo della mafia nigeriana, che aveva in Ballarò il suo punto di riferimento tanto per la produzione quanto per lo spaccio, ma che ha evidentemente risentito degli ultimi colpi inferti dalle forze dell’ordine. E uno dei primi campanelli d’allarme è rappresentato dai primi arresti, sempre dei carabinieri, di spacciatori di crack palermitani alla Vucciria, dove lo spaccio dei cristalli si avvia ad affiancare quello dell’erba e dell’hashish, anche in luogo del costo estremamente accessibile delle dosi del crack, che oscilla tra i cinque e i dieci euro.
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