L’Italia di De Roberto nei fotogrammi di Faenza

E’ giunto alla seconda settimana di riprese a Catania, Roberto Faenza, quando si concede per un’intervista. La bella chiacchierata, avvenuta tra le mura dell’ex monastero dei Benedettini, non poteva non incentrarsi sulla realizzazione del film “I Vicerè”che lo sta impegnando ormai da qualche mese e che rappresenta forse un ritorno alle origini per il cineasta bolognese. Un ritorno ad un cinema che scavi nelle problematiche di una terra e che sia documento di un’epoca intera.

 

 

Quanto il suo “I Vicerè” rimarrà fedele al testo di De Roberto?

Beh, non è il primo romanzo a cui mi ispiro per fare un film, ne ho fatti parecchi. Secondo me non si pone neanche il problema perchè se il film fosse del tutto fedele, sarebbe soltanto una trasposizione, una traduzione e, a mio avviso, anche l’impoverimento dell’opera letteraria. Un’opera letteraria non puo’ partorire un clone di se stessa. Quanto più un film è prodotto autonomo dell’opera a cui si ispira, tanto più, secondo me, l’opera a cui si ispira ha creato una nuova creatura. Io considero il romanzo di De Roberto come un punto di partenza per raccontare una storia, un periodo, un’epoca. Per raccontare quello che è forse la prima radiografia del nostro paese, e dei vizi che costituiscono il suo DNA. Quindi la fedeltà consiste semplicemente nel dare vita a una nuova opera.

 

Quando è scattata in lei la volontà di fare questo film?

Avevo sentito parlare del romanzo da Visconti, molti anni fa. Credo in una sua intervista in cui parlava de “I Vicerè” e dell’ipotesi di farne un film. Visconti lo considerava, addirittura, più stimolante del girare “Il Gattopardo” che poi fece. Poi, un giorno, mentre ero in Sicilia per realizzare il film “Marianna Ucria”, una giovane docente di lettere siciliana mi ricordò di quanto la letteratura contemporanea debba al romanzo di De Roberto. Così andai a leggerlo immediatamente e mi invaghii di quel testo, parlo di ormai dieci anni fa. Il progetto del film ha avuto una lunga gestazione: dovevo farlo due anni fa ma poi fallì, prima per motivi di costi e poi perché, certamente, attorno a “I Vicerè” c’è sempre stata una forma di pregiudizio – se non di censura vera e propria – in un paese fondamentalmente conservatore e bigotto. Paese che ha sempre vissuto il cattolicesimo più come una forma repressiva che liberatoria. Tutti coloro che hanno provato a metterci in piedi un film – ricordo ci aveva tentato anche Rossellini –  hanno trovato sempre un muro a causa dei noti problemi di cui il romanzo tratta e della maniera in cui racconta la vita di questo Monastero.

 

Benedetto Croce leggendo I Vicerè, parlò di «un’opera pesante, che non illumina l’intelletto e non fa mai battere il cuore»..

Quando uscì il libro alla fine del ‘800, il testo non ebbe alcun successo. “I Vicerè” fu pubblicato quasi in maniera clandestina e nessuno ne parlava. Ma c’è una regione per questo, ed è proprio che nel paese in cui trionfava D’Annunzio non poteva certo andare bene De Roberto. Anche Croce, che lo riteneva un romanzo di appendice, quasi un romanzo di serie B, faceva i conti con un’idea malsana di idealismo. Evidentemente un romanzo così crudele non poteva piacere ai filosofi dell’idealismo. Devo dire, però, che col tempo De Roberto sta acquisendo il giusto successo che gli compete e che non ha avuto allora. Poi penso che ad oscurare il romanzo sia stato anche il trionfo del Gattopardo soprattutto perchè non hanno riconosciuto quanto Il Gattopardo debba a I Vicerè per dialoghi e in generale per ambientazione e filosofia. Il Gattopardo è l’esaltazione di quella classe al potere che De Roberto invece mette sotto tiro. Tutto cio’ ha concorso a far si che il romanzo sia rimasto nell’ombra.

 

La sua filmografia è molto varia dal punto di vista tematico. C’è, però, una linea guida che virtualmente collega tutti i suoi film?

Io penso di non avere una linea vera e propria. Sicuramente dividerei i miei film in due periodi: una prima produzione di film più o meno impegnati politicamente con un colorito estremista, contestatario e sessantottesco, primo tra tutti “Forza Italia” che mi ha visto all’indice per una ventina d’anni. Poi, quando ho fatto un film che si chiama “Jona Che Visse Nella Balena”, sono venuto in contatto con una nuova realtà e ho iniziato a orientarmi diversamente. Cioè, mentre prima facevo dei film un po’ nichilisti e fortemente contestatori, con “Jona…” ho capito che il cinema puo’ anche restituire una luce ed offrire degli spunti positivi. Con De Roberto ho la sensazione di tornare un po’ alle origini. Tutto sommato “I Vicerè” è un po’ l’antesignano di “Forza Italia” perchè racconta il nostro paese, i vizi e la nostra complessità.

 

Qual è il suo rapporto con la critica? Il film “L’Amante Perduto” ricevette parecchie critiche quando uscì…

Sono abituato a non dare alcuna considerazione alla critica cinematografica perchè credo che da tempo i critici abbiano abbandonato la loro funzione e si siano divisi in clan e inutili consorterie. Si sa già cosa un critico scriverà di un film, prima ancora che lo veda. Per cui sinceramente non so più che cosa dicano di me e, più in generale, non leggo neanche quando parlano di altri film. Credo che la critica sia diventata un sotto genere nella nostra cultura e che non sia più in grado di esprimere nulla di conoscitivo. Non mi interessano palline, stellette od altro, perchè non hanno alcun significato. Non solo in Italia, ormai i critici di cinema sono solo capaci di stroncare o esaltare. La critica andrebbe completamente rifondata per essere interessante.

 

Sono tre i suoi film ambientati in Sicilia tra cui lo splendido cui “Alla luce del sole”. Come si fa a raccontare la mafia senza cadere nel gioco del clichè narrativo?

Mi sono sempre posto la domanda: “Come mai la Sicilia offre cosi tanti spunti sia per il cinema che per la letteratura?  “E come mai la letteratura italiana per il 90% è siciliana? Probabilmente perchè questa è una terra dove le varie dominazioni che si sono succedute – arabi, normanni ecc –  hanno reso questo territorio vulcanico, estremo, in tutte le sue manifestazioni, in tutte le sue passioni e in tutte le sue lacune. E questo attira anche i registi non siciliani. Per esempio Visconti ha fatto qui due grandi opere come “La Terra Trema” e “Il Gattopardo”. Per quanto riguarda la tua domanda sulla mafia, io avevo a disposizione un materiale eccezionale, incandescente che era la vita di questo parroco Don Puglisi. Figura che è stata fraintesa perchè lo si è ritenuto un prete esclusivamente antimafia. In realtà lui non combatteva la mafia, lui viveva per combattere un modo di vivere, di essere di questa terra, per costruire un’altra società. Non per costruire un qualcosa contro la mafia, ma per costruire un qualcosa dove non ci fosse la mafia. Quindi secondo me si è proprio travisato la sua battaglia. Io ho cercato, col mio film, di dare più spazio al suo sogno e all’utopia che lo motivava e, infatti, ho lasciato alla figura dei mafiosi un ruolo piuttosto marginale.

 

È possibile fare una connessione tra l’Olga de “I Giorni Dell’Abbandono” e la “Marianna Ucria”?

Se devo essere sincero “Marianna Ucria” è uno dei miei film che mi piace di meno. Certamente le donne nel nostro paese hanno sempre subito e, continuano a subire, delle forme più o meno velate di sconfinamento, emarginazione, repressione. Certo in particolare le due protagoniste hanno in comune molti elementi. Sono state abbandonate una dall’amore del marito e una dalla famiglia, per esempio…

 

Qual è lo status di salute del cinema italiano, oggi?

Credo che nonostante le cassandre, i problemi che ci sono e la mancanza di denaro sia un buon momento. Intanto ci sono molti giovani che si affacciano alla ribalta e questo prima non era molto consentito; poi c’è un buon fermento. Purtroppo quello che manca sono le tutele al nostro lavoro, nel senso che veniamo costantemente prevaricati dall’impero americano, mentre altri paesi come la Francia, la Spagna e la Germania hanno creato dei sistemi di aiuto alle cinematografie nazionali in opposizione al potere statunitense. E poi va anche detto che c’è una tradizione in questo paese per cui la politica odia il cinema. Il cinema non è asservibile come la televisione e, nel momento in cui una cosa non serve ai politici, loro la snobbano, anzi quando possono la boicottano.

 

Quanto Roberto Faenza si sente regista libero, oggi?

Ho la fortuna di avere una compagna, produttrice dei miei film, tanto in gamba nelle sue capacità che dovrebbero farla ministro. Quindi devo a lei il fatto di poter fare i film in assoluta libertà. Infatti  nessuno mai mi ha detto prendere un certo attore o di fare determinate scelte. Certo i fondi sono quel che sono, gli americani per questo film avrebbero speso otto volte più di noi. Quindi la mancanza di denaro forse potrebbe essere l’unico vincolo alla nostra libertà, però va anche detto che spesso i film più liberi sono quelli che hanno meno finanziamenti.

Vittorio Bertone

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