Linosa, dopo 40 anni ha chiuso l’unica macelleria dell’isola Titolari: «Mai partiti insieme per non fare mancare la carne»

A Linosa l’unica macelleria dell’isola, dopo quarant’anni di lunga e onorata attività, ha chiuso definitivamente i battenti. Come tutti i luoghi importanti anche questo lascia un segno indelebile per gli abitanti della piccola isola delle Pelagie. «Essere un macellaio a Linosa comporta oneri e rischi – racconta a MeridioNews Salvatore Tuccio, uno dei tre figli dei titolari dell’attività commerciale – I miei genitori dovevano calcolare al millesimo quanta carne fare arrivare dalla terra ferma. Se non si riusciva a venderla tutta in una settimana, bisognava mangiarla in famiglia per non buttarla, il che comunque causava delle perdite». Sono gli anni Ottanta quando i coniugi Paolo Tuccio (oggi 72enne) e Maria Bonadonna (che adesso ha 64 anni) decidono di aprire una macelleria su un’isola in cui i circa 400 abitanti erano abituati a mangiare soprattutto il pesce. Più che un negozio, quel luogo per anni è stato un punto di incontro e di ritrovo di cui adesso gli isolani sentono già la mancanza. 

«Ho saputo che sull’isola qualche supermercato sta pensando di attrezzare un’area del banco frigo per esporre carne già confezionata. Ma ancora non c’è nulla di certo». Salvatore, così come i suoi fratelli, non ha deciso di portare avanti l’attività iniziata dai suoi genitori. «Mio padre e mia madre hanno lavorato un’intera vita per farci studiare e darci un futuro e noi abbiamo scelto strade diverse – spiega – Io faccio l’educatore e il videomaker, mio fratello Fabio si dedica ad attività legate al turismo mentre mio fratello Domenico è uno psicologo e lavora in Veneto». Quando su un’isola si è i titolari dell’unica macelleria, e lo si fa con passione e responsabilità, si organizza l’intera vita attorno all’attività. «Per esempio – racconta Tuccio – i miei genitori non sono mai andati insieme a trovare mio fratello che sta in Veneto ma lo hanno sempre fatto uno alla volta per non chiudere la macelleria». 

Anche perché l’organizzazione doveva essere precisa: la carne arrivava settimanalmente da Santa Ninfa (in provincia di Trapani) a bordo di una nave che poi proseguiva per Lampedusa in uno speciale furgone frigo che ne manteneva inalterate le proprietà. Da lì, la carne veniva consegnata in macelleria dove veniva preparata in tagli da vendere al dettaglio. «Questo perché – analizza il figlio degli ex proprietari che dal 31 dicembre hanno chiuso bottega – con l’introduzione di nuove norme europee, non è stato più possibile vendere la carne degli allevatori locali perché mancava un mattatoio». Così i linosani decidono di non allevare più animali e si vedono costretti a importare la carne dalla terra ferma con tutti i costi che il trasporto prevede. Costi che negli anni sono lievitati notevolmente. «Abbiamo sentito l’affetto della gente che, specie il giorno della chiusura, ha riservato per noi parole d’affetto e di gratitudine e – ammette Tuccio – questo ci ha ripagati di anni di attività incessante». 

Un’attività che i tre fratelli, comunque, hanno deciso di non portare avanti. «In tutti gli anni non abbiamo mai ricevuto nessun aiuto da parte della politica locale. I miei genitori – sottolinea – hanno fatto la loro parte per questa comunità e l’hanno fatto con il cuore e con molta dedizione ma era arrivato il momento di pensare anche al loro meritato riposo e a godersi la vita e la famiglia. Il nostro auspicio – continua – è che ci sia più attenzione per questa parte periferica d’Italia perché sarebbe giusto che le istituzioni mettessero tutti nelle stesse condizioni di vivere bene. E per vivere bene servono anche i servizi essenziali e la nostra attività rientrava in questa categoria. Ci immaginiamo – conclude Tuccio – un futuro roseo per Linosa fatto di persone che amano questo estremo lembo di Sicilia ma anche di attività che possano rendere a chi ci abita e ci lavora, ma anche a chi viene in vacanza, la vita più normale possibile».

Piero Burrugano

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