«La facoltà non ha mai voluto insegnare come chiedere il conto al ristorante». Così esordisce il professore Antonio Pioletti all’apertura dei lavori del Convegno nazionale “La facoltà di capire il mondo”, organizzato dalla facoltà di Lingue e letterature straniere di Catania, che si è svolto lunedì 24 gennaio. Un modo per spiegare ciò che si è voluto in questi anni insegnare agli studenti: comunicare e comprendere le culture attraverso lo studio delle lingue, anche ad alti livelli. Ma anche un modo per tracciare una prospettiva per gli anni futuri: quella di creare un asse formativo linguistico e letterario tra scuola ed università al fine di migliorare la situazione degli studenti.
La giornata è stata suddivisa in due parti: nella mattinata si è analizzata la situazione italiana attraverso le politiche linguistiche della Commissione europea, nel pomeriggio si è dato ampio spazio alle esperienze delle varie associazioni che operano nel settore, dell’università e del mondo del lavoro.
«L’Europa deve parlare una sola lingua? No», spiega la professoressa Francesca Vigo, docente della facoltà di Lingue di Catania. «L’Italia presenta un buon 62% di persone che dichiarano di conoscere a livello scolastico una lingua straniera, ma solo il 9% dichiara una conoscenza molto buona. Ciò che emerge da questi dati è che l’Italia si trova ancora lontana da una situazione apprezzabile. Ci troviamo in terzultima posizione, prima di Irlanda e Regno Unito, Paesi nei quali non ci si preoccupa di conoscere una seconda lingua».
L’Unione europea è un melting pot di lingue: 27 Stati membri, 23 lingue ufficiali e 3 alfabeti. La conoscenza delle lingue straniere permette «non solo di ampliare le proprie conoscenze, ma anche di creare una società più aperta che promuova le interazioni tra le comunità e le persone». Raphael Gallus, rappresentante in Italia della Commissione europea, illustra l’importanza del multilinguismo non soltanto da un punto di vista sociale, ma anche in considerazione delle diverse opportunità lavorative che esso porta con sé. La diversità delle lingue è un patrimonio importante, «ma l’Unione europea rischia di perdere la forza lavoro se non ci sono delle adeguate politiche che permettano la mobilità delle persone nei vari ambiti; questo è compito degli Stati membri». In Italia solo il 29% utilizza criteri linguistici di selezione, mentre in Germania si parla del 59%, in Francia del 61%, con una media europea del 40%.
L’internazionalizzazione in Italia, però, ha difficoltà a progredire alla pari con altri Stati europei a causa anche delle politiche nazionali e alla recente approvazione della legge Gelmini: «L’internazionalizzazione e gli scambi culturali sono molto importanti perché consentono un’elevata qualità di competenze linguistiche. Dati recenti – afferma il professore Gaetano Lalomia (facoltà di Lingue) – hanno messo in evidenza che un Paese che non incrementa il suo processo di internazionalizzazione rischia un impoverimento sociale, culturale ed economico».
La professoressa Donata Cucchiara, docente del Liceo linguistico Boggio Lera di Catania e della facoltà di Lingue, affronta le problematiche che si incontrano nell’insegnamento. Non è solo un problema dettato dalla nuova riforma che pone dei limiti, imponendo come lingua fondamentale l’inglese, creando un monolinguismo che impoverisce la qualità degli studi dei giovani. «Rispetto alla necessità di comunicare, relazionarsi e comprendere il mondo, le politiche italiane sono in contrasto con quelle adottate dall’Unione europea».
«La presenza di studenti stranieri è bassa», spiega la professoressa Loredana Pavone, della facoltà di Lingue. «La bassa mobilità di questi studenti in Italia è dovuta alle difficoltà burocratiche, alle poche residenze universitarie che possano ospitarli, ma non solo questo. Entro il 2013 ci sarà un’ulteriore riduzione del 40% a seguito dell’approvazione della riforma Gelmini».
Jane Harkess, collaboratrice ed esperta linguistica (CEL) presso la facoltà di Lingue, mostra i risultati di un sondaggio basato su un questionario dato agli studenti: «Il ruolo del CEL viene visto come una componente importante per lo studio. Gli studenti vedono questa figura come una guida e un contatto diretto con la cultura della lingua studiata. Purtroppo in Italia ci sono politiche contraddittorie, tutto ciò che si può fare in meno lo si fa: ritardo nella pubblicazione dei bandi, trattamenti economici non soddisfacenti, contratti a tempo determinato. Se tenete a salire le classifiche nazionali, dovete capire che avete bisogno di noi».
A concludere l’incontro della mattina è Graziano Serragiotto, docente di Didattica delle lingue moderne presso l’Università Ca’ Foscari Venezia. L’università è una struttura che forma, crea conoscenza e che dovrebbe incentivare il rapporto con il mondo del lavoro: «E’ un momento critico, ma bisogna cercare una sinergia tra lavoro e università: da un lato l’università deve dare delle competenze spendibili, dall’altro il mondo del lavoro deve dare la possibilità di fare esperienza attraverso stages e tirocini».
La giornata di studi è proseguita nel pomeriggio con due incontri di confronto. Il primo, “Insegnare e apprendere lingue: esperienze e progetti”, era incentrato sulle esperienze dei vari operatori culturali che hanno sede in Italia e che permettono lo sviluppo e l’insegnamento/apprendimento delle lingue straniere. Tutti concordano sull’impossibilità in Italia di insegnare adeguatamente le lingue, in vista anche della nuova riforma scolastica che accentua sempre più il monolinguismo (inglese obbligatorio per tutti), non permettendo una maggiore diffusione delle altre realtà linguistiche. Nel nostro Paese, nel biennio 2008/2009, le quattro lingue europee erano dominanti. «E’ evidente che il multilinguismo si è fatto spazio nelle scuole, ma sono ancora bassi i livelli della conoscenza ad alti livelli», afferma Maria Luisa Jetti dell’AISPI scuola. «Nonostante il basso livello di competenze, in Italia vige ancora un sistema di valutazione non europeo», interviene Margaret Fowler del British Council. «Quando si parla di competenze linguistiche si parla di livello scolastico o buono, quando in realtà sarebbe necessario parlare di livello A2/B1/C1».
Ampio spazio viene dato ai rappresentanti degli studenti: Erio Buceti del Consiglio Nazionale degli studenti ha definito la riforma Gelmini “coraggiosa” perché cerca di migliorare la situazione della formazione in Italia, ma manca di punti fissi per il diritto allo studio. Anna Catinoto parla delle problematiche che la facoltà di Lingue e gli studenti di Catania devono affrontare: «Se da un lato si sottolinea l’importanza delle Lingue, a Catania succede l’esatto contrario». Dure le parole di Matteo Iannitti del Movimento studentesco catanese: «Se è vero che il settore delle lingue è un settore fondamentale, in questo momento è attaccato perché regna la logica del profitto; si parla troppo poco di crescita culturale ma sempre più di profitto aziendale». In risposta al consigliere studentesco Buceti, Iannitti parla di una riforma assassina, la quale uccide l’università pubblica per dare al privato.
L’incontro successivo, “Per una politica dell’internazionalizzazione: impresa, arti, enti locali, servizi” ha posto la questione dell’importanza delle lingue ai politici presenti e al presidente della Confindustria Catania, Domenico Bonaccorsi di Reburdone. «Vogliamo impegnare Confindustria Catania con l’Università a promuovere un corso di lingua cinese, perché l’asse delle relazioni economiche si è spostato». Il ruolo della politica nella promozione dello studio delle lingue straniere è discusso dagli onorevoli Giovanni La Via (eurodeputato del PdL), Giuseppe Berretta (Pd) e Francesco Alparone (Sinistra e Libertà).
Giovanni La Via ha raccontato l’esperienza del Parlamento europeo per affermare l’importanza del multilinguismo: «L’Italia è ai livelli più bassi nelle competenze linguistiche. Questo limita la possibilità di attivare relazioni positive in quel contesto». Per quel che riguarda l’ateneo catanese, l’eurodeputato parla di una visione accessoria dei corsi di lingua, che non sono visti come un pilastro importante della formazione dei propri studenti. Giuseppe Berretta interviene sulla situazione critica della facoltà di Lingue e letterature straniere di Catania e sul suo futuro incerto: «Guardare al modello tedesco significa investire nel sapere, nella cultura, nella ricerca e nelle intelligenze. C’è una forte mancanza di aziende straniere in Sicilia dovuta alla burocrazia, alla mancanza di lavoratori qualificati che passa necessariamente da un ottimo livello di conoscenza del lingue straniere del campo settoriale. Depotenziare la facoltà di Lingue è un delitto».
A concludere il dibattito è Francesco Alparone, il quale parla della sua esperienza sia politica sia come operatore turistico: «C’è una mancanza nel settore turistico, mancano le figure qualificate. E ciò è anche determinato dalla limitazione dei giovani nei ruoli di responsabilità». Per Alparone, la riforma Gelmini produrrà gravi danni nel tempo e il compito di chi fa politica dev’essere quello di limitarne gli effetti.
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