«I tempi della giustizia sono così lunghi che finiscono per portare le imprese al macello e gli imprenditori a non sapere di quale morte sia meglio morire». Alfio Torrisi ha 65 anni e racconta la sua storia con la rabbia di chi, dopo una vita dedicata alla propria impresa edile, ha dovuto svendere le proprietà e rinunciare ai risparmi. L’imprenditore, originario di Aci Catena ma residente ad Acireale da sette anni, protesta da mercoledì 2 giugno in piazza Verga in assoluto digiuno e da oggi avvolto con le catene. Il suo primo scopo è far conoscere a tutti, attraverso la sua vicenda personale, l’eccessiva lentezza della giustizia. In secondo luogo desidera sollecitare la soppressione nazionale del Documento unico di regolarità contributiva, un modulo necessario per ottenere appalti e subappalti pubblici e privati nel settore delle costruzioni edili.
Al quarto giorno di protesta di fronte al Tribunale di Catania, Torrisi è visibilmente provato. Le recenti operazioni chirurgiche alla colonna vertebrale e alla tiroide, alle quali si aggiungono i problemi legati alla pressione arteriosa, al diabete mellito e ad un’aritmia cardiaca fanno preoccupare i suoi familiari e il suo medico personale, che cercano di convincerlo a desistere dallo sciopero della fame. L’uomo però è fermo nelle sue intenzioni e si concede solo acqua e integratori di sali minerali. «Fino a quando non riceverò risposte confortanti sul mio caso non desisterò e, anzi, se entro la settimana prossima non otterrò quello che voglio, andrò a Roma a protestare davanti a Palazzo Chigi». La sua battaglia è indirizzata alla magistratura ma anche agli esponenti della politica europea, nazionale, regionale e locale. Molte persone si fermano qualche minuto per mostrare solidarietà e per manifestare il proprio sostegno e alcune si sincerano delle sue condizioni di salute.
I problemi di Torrisi iniziano circa tre anni fa quando la sua impresa accetta un appalto in cooperativa con altre due aziende edili per la costruzione di un complesso di alloggi residenziali. Lavori per cui la sua impresa avanza un credito di circa 250 mila euro che non gli è mai stati pagato. Dopo numerosi rinvii di pagamento, Torrisi si rivolge ad un avvocato che dà inizio ad un procedimento legale. «Dopo tre udienze i magistrati si accorgono di aver affidato il mio fascicolo ad un collega che non è autorizzato per valore della causa a deliberare oltre un importo massimo di 60mila euro». Il suo caso viene dunque affidato ad un altro magistrato e la nuova udienza viene fissata per gennaio 2015. A quel punto Torrisi decide di dare inizio ad una protesta perché sostiene che «è inconcepibile che per la prima udienza di esecuzione in un processo civile si debba attendere due anni».
La battaglia condotta dall’imprenditore si accompagna alla proposta di costituire un’associazione di piccoli artigiani siciliani, quella che lui chiama l’A.P.A.S. Lo scopo è assistere gli iscritti da un punto di vista tecnico, fiscale e legale «rappresentando tutti i settori dal basso», spiega Torrisi. «Anche se per adesso sono solo e sono uno dei tanti imprenditori che non ce la fa più, non mollerò e – conclude – potrei anche decidere di denunciare la magistratura per istigazione al suicidio».
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