«Mi è piaciuta la geometria del luogo, con forme simmetriche che mi hanno ricordato il ring». Sta tutta qui la motivazione di Joel Stangle, giovane regista americano, per occuparsi della boxe a Librino: un colpo di fulmine. Ha girato a lungo in cerca di qualcosa da raccontare nel quartierone periferico, tra «wide angles and circles». Finché non si è ritrovato al Palanitta, nella palestra della Catania Ring di Aroldo Donini. Trovato il soggetto Joel, insieme alla sua casa di produzione Scillichenti films ha cercato i contributi, trovandoli in America da un facoltoso, e anonimo, finanziatore. Il risultato di questo contatto tra Librino e Zio Sam è un documentario, ma la lavorazione di un lungometraggio è iniziata già da un paio di settimane, e andrà avanti fino a metà dicembre.
Incontro a Librino, questo il nome del documentario, non è il solito lavoro sulla città satellite abbandonata dalle istituzioni. Nei pochi minuti del trailer quattro pugili raccontano le proprie vite difficili, tra punti di contatto e differenze «perché le persone che vivono situazioni simili agiscono in maniera diversa», ricorda il regista. Un approccio confermato dall’estetica, con molti chiaro-scuri e poca profondità di campo: le inquadrature staccano i personaggi dall’ambiente come in un ritratto fotografico. «Quando ho montato il trailer, mi sono accorto che le immagini ricordano un po’ Toro Scatenato di Scorsese – commenta il regista -. È difficile parlare di boxe in modi originali e non trattati, ma nel film starò molto attento».
Incontro a Librino è servito a Joel Stangle e ai suoi collaboratori per conoscere l’ambiente e cercare le storie, e il film affronterà temi affini. «Sarà la storia di due pugili, un nordafricano e un catanese. Due culture diverse, ma che si trovano in una situazione umana simile». Niente attori professionisti, ma i boxer di Librino che, nellla visione di Joel, rappresentano uno scontro di civiltà che va avanti da millenni in Sicilia. «Ho letto Tito Livio, la prima guerra punica, e mi ha colpito quando il generale Amilcare Barca parla del tempo di guerra – spiega il regista -. Il ragazzo nordafricano rappresenta i cartaginesi, e sarà idealmente più vicino al mare, in location come il porto. Il siciliano invece è come se fosse un antico romano. Ma in fondo è la storia di come delle persone trovano la propria strada nel destino».
La Scillichenti films, la casa di produzione, che è stata creata da Joel insieme alla sorella – che abita nella piccola frazione acese – e a tanti volenterosi professionisti catanesi, ha ottenuto per questo progetto un finanziamento da un facoltoso e anonimo americano. Le due produzioni, il documentario e il lungometraggio, avranno inizialmente spazio nel circuito dei festival, ma si sta lavorando sulle possibilità di distribuzione nelle sale. L’appuntamento non sarà comunque prima di febbraio. Pochi altri i dettagli sul film: verrà girato in alta definizione, e non su pellicola, ma con una cinepresa dedicata, una Red che viene apposta dall’America con l’operatore. La colonna sonora originale verrà invece composta da Simona Di Gregorio, affermata artista folk siciliana. Il budget è top secret, ma Joel ci rivela un segreto del suo modo di lavorare in Sicilia. «Ho scritto una sceneggiatura di 110 pagine, quindi dovrebbe durare 110 minuti, un film molto lungo per qualunque budget. Ma da quando sono qui per difficoltà con la lingua vado avanti, come dite voi, seeing doing, virennu facennu. Non so ancora quale sarà il risultato finale, ma qui in Sicilia le persone si danno da fare per aiutare, senza volere qualcosa in cambio. Per questo il progetto diventa una creazione di molti».
[Foto di phgaillard2001]
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