Libertà in Italia? A schifiu finiu…

Per le organizzazioni internazionali che controllano lo status della libertà di stampa e informazione, purtroppo, l’Italia resta in fondo alle classifiche tra i Paesi occidentali e non solo. Così mentre la Finlandia è quel Paese che, costantemente, negli ultimi anni vince nella classifica come “paradiso” del giornalismo e dell’informazione libera – almeno secondo l’indice della libertà della stampa mondiale degli ultimi tre anni curato dall’organizzazione “Reporters Without Borders” – per trovare la posizione dell’Italia si deve arrivare al numero 57, ben al di sotto di Paesi come Haiti, Burkina Faso, Moldova, Niger e tanti altri.

E quindi non sorprende l’arrivo di questa altra “brutta notizia” sullo stato della libera informazione in Italia: il Museo nazionale delle arti del XXI secolo (il MAXXI), citando “ferree disposizioni” del Ministero delle Attività Culturali da cui dipende, ha comunicato agli organizzatori dell’anteprima italiana del controverso film di Bill Emmott e Annalisa Piras, “Girlfriend in a Coma” di essere “costretto” a spostare la proiezione a una data dopo le elezioni politiche del 24 e 25 febbraio. Nella comunicazione, ufficiale, da parte del MAXXI, si legge testualmente “…che si fanno interpreti delle indicazioni assai rigorose dateci dal MIBAC…non ci consentono di ospitare nello spazio del museo qualunque iniziativa che possa essere letta secondo connotazioni politiche, nell’imminenza della competizione elettorale”. Il MIBAC è il Ministero dei Beni e Attività Culturali. (foto sopra, tratta da facebook.com)

Bill Emmott, ex direttore dell’Economist e tra i più noti giornalisti del mondo, si è dichiarato “attonito davanti a questa terribile e calzante dimostrazione della tesi centrale di ‘Girlfriend’, e cioè che il declino italiano stia rapidamente giungendo al punto di non ritorno”.

L’abuso, letteralmente la sospensione della cultura e della libertà della parola per semplice convenienza elettorale, senza nemmeno il conforto di una legge, è tale da togliere il fiato, hanno dichiarato dall’ufficio stampa di “Girlfriend in a Coma”, che è quel documentario di Bill Emmott e Annalisa Piras sul declino – forse terminale – del Paese.

La produzione anglo-italiana – Emmott è stato per 13 anni il Direttore de The Economist (sua la famosa copertina di Berlusconi “unfit” a governare), Piras è una giornalista e film-maker italiana a lungo residente all’estero – è reduce da un “pre-screening” internazionale che ha toccato Londra, New York, Bruxelles tra le altre capitali, suscitando sia grandi applausi che violenti attacchi da parte di chi lo considera uno “schiaffo in piena faccia alla moderna società italiana”. (a destra, Bill Emmott: foto tratta da formiche.net)

Secondo il Times di Londra, Girlfriend “illustra brillantemente la vera tragedia italiana… contrastando l’Italia dei politici corrotti legati alla mafia e dei monopoli mediatici che esaltano la mediocrità con il Paese della creatività, generoso di spirito e patriottico, ma ridotto in coma da una sorta di anestesia morale”.

Il titolo, Girlfriend in a Coma – “La fidanzata in coma” – cita un successo musicale del complesso inglese The Smiths, dal loro disco Strangeways (1987). Rispecchia l’affetto di Emmott nei confronti dell’Italia – la “fidanzata” – e il suo allarmato dispiacere davanti all’attuale stato di paralisi del Paese.

Emmott commenta: “Gli italiani stessi forse non se ne rendono conto, ma il loro è un Paese chiave per tutto l’Occidente – per certi versi ne definisce l’anima – e il collasso visibilmente in corso è una tragedia che pagheremo tutti, nei decenni e forse nei secoli”.

Tra le personalità intervistate nel film: il primo ministro Mario Monti, il filosofo e romanziere Umberto Eco, il regista Nanni Moretti, la femminista Lorella Zanardo, il presidente della Fiat, John Elkann, nonché il Ceo Sergio Marchionne, il fondatore del movimento Slow Food, Carlo Petrini, l’autore di “Gomorra”, Roberto Saviano, l’ex commissario europeo, Emma Bonino, la sindacalista, Susanna Camusso, e molti altri.

Ora però il documentario non si potrà vedere, almeno fino alla fine delle elezioni. Appunto come succede a Teheran. L’Italia in materia di libertà di stampa ed espressione è quindi sempre più vicina all’Iran, alla Cina, al Nord Corea che alla Finlandia o agli Stati Uniti.

 

Pubblicato su America oggi

 

Stefano Vaccara

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