L’esperienza politica di Battiato da assessore senza cravatta Un artista spirituale avverso alla «sacralità delle istituzioni»

«Di prassi durante l’aula va indossata la
cravatta». Fin dagli anni Settanta, sul palco, Franco Battiato era solito presentarsi in completo: giacca, camicia chiara e cravatta a stridere con i suoi movimenti a tratti sgraziati, ad altri ipnotici, mentre cantava le sue canzoni. Ma quello era l’abito di scena, apparteneva a un altro mondo. La politica da sempre è stata oggetto di critiche da parte del maestro, nonostante oggi, dopo la sua morte, venga ricordato praticamente da tutti. Da Giorgia Meloni all’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Passando per Matteo Salvini che nel 2013, dopo l’addio di Battiato alla giunta regionale, lo bollò come «un piccolo uomo».

Per la sua esperienza da assessore Battiato 
aveva scelto un maglione scuro, aderente, a collo alto, indossato sotto a una giacca grigia. Dettagli che passerebbero in secondo piano davanti alla grandezza dell’artista e del lavoro a cui era chiamato, ma che avevano destato subito mugugni e persino il rimprovero dell’allora presidente dell’Ars Giovanni Ardizzone. Che dopo la prima seduta al cospetto della nuova giunta regionale guidata dal neo eletto Rosario Crocetta aveva tuonato: «Anche l’assessore dovrà adeguarsi».

Una polemica rilanciata da più parti, che paradossalmente aveva fatto ben sperare per il futuro del cantautore
nell’inedita veste di assessore al Turismo a palazzo d’Orleans. Era il novembre del 2012 e quello di Battiato era stato percepito come un segno di rottura con schemi vecchi e logori. La presentazione di Battiato assessore avvenne nella cornice di palazzo Platamone, a Catania. Un giorno particolarmente caotico per la presenza, e la protesta, di alcuni lavoratori dell’ex colosso della grande distribuzione Aligrup. Ai giornalisti si presentò con poche parole: «Io non faccio politica e con i politici non voglio avere niente a che fare». Il presidente della Regione diventò «un personaggio travolgente». «Quando è venuto a propormi di fare l’assessore – spiegava Battiato – ho accettato volentieri. A Rosario ho detto che non voglio lo stipendio da assessore – aggiungeva – Per me significa essere libero di lasciare l’incarico senza problemi».

Insieme a Battiato in quella giunta c’era lo scienziato trapanese
Antonio Zichichi. «Siamo due creativi, dateci tempo e vi faremo vedere» aveva dichiarato il maestro. Ma non fu così. Al di là dell’etichetta, a dividere l’estro dall’umana politica è stato soprattutto il tempo. Contato in assenze, fatte notare con tono sempre crescente dall’opposizione fino alla fine di gennaio 2013, quando Battiato per tutta risposta partì per un tour con tappe in mezza Europa, proprio nel bel mezzo della discussione all’Ars del documento di programmazione economico-finanziaria. «Sarò a Palermo ogni lunedì» aveva garantito. Ma intanto il capitolo sui porti turistici rimaneva in bianco, tanto da costare a Battiato un richiamo formale.

L’avventura politica del maestro si concluse poche settimane dopo, a
Bruxelles, tra i banchi del parlamento europeo, dove era stato chiamato a intervenire in qualità di assessore regionale al Turismo e dove Battiato si era presentato ancora una volta, ironia della sorte, in giacca e maglioncino a collo alto, questa volta chiaro. «Farebbero qualunque cosa queste troie che si trovano in giro nel parlamento. È inaccettabile, inaccettabile. Dovrebbero aprire un casino e farlo pubblico, lì sarebbero perfette», aveva dichiarato durante il suo intervento tra i sorrisi dei presenti. Parole che fecero gridare allo scandalo e a cui Battiato tentò di dare una spiegazione, comunque poco convincente spostandosi dal chiaro senso letterale.

Parole che in ogni caso valsero al Battiato assessore il licenziamento da parte del presidente della Regione, con un Crocetta che si affrettò subito a fare ammenda, ponendo l’accento sulla violazione del «principio della sacralità delle istituzioni». Una sacralità che, c’è da dire, negli anni sembra non essere sfuggita solo a Battiato, il quale aveva probabilmente un altro concetto di spiritualità, che poco comprendeva la diplomazia politica (e la cravatta).

Gabriele Ruggieri

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