«Il rumore del tastierino numerico del cellulare, le occhiatine di intesa tra docente e assistente, i continui sghignazzamenti. Quando ho visto la professoressa ridere sotto i baffi, sono entrata nel panico e nella mia testa si sono materializzate mille preoccupazioni». Dietro alle parole di Francesca (nome di fantasia), studentessa iscritta al primo anno di Matematica e Informatica dell’ateneo di Catania, c’è molto di più di una semplice arrabbiatura per non avere superato l’esame di Analisi matematica. «Ho una dislessia aggravata da un disturbo d’ansia con tratti ossessivo compulsivi», racconta la giovane a MeridioNews. Per chi, come lei, soffre di disturbi dell’apprendimento, preparare e sostenere un esame può rivelarsi davvero un’impresa. Alla quale, però, la 19enne non intende rinunciare. Anche se il comportamento di alcuni docenti si rivela spesso controproducente. Ed è proprio il caso lamentato dalla giovane matricola che, nei giorni scorsi, ha provato a sostenere la prova di analisi matematica.
«Hai superato l’esame?». Passa qualche minuto prima che Francesca risponda. Poi con voce soffocata dalla delusione, sospira e comincia a parlare. «Purtroppo no – racconta incespicando sulle parole per l’emozione -, sebbene pochi giorni prima della prova abbia mandato una mail alla professoressa per metterla al corrente della situazione e chiedere la possibilità di usufruire di strumenti compensativi». Ovvero l’utilizzo di mappe concettuali e formulari. «Strumenti indispensabili – spiega la studentessa – per evitare che nella mia testa si formi un castello di confusione». Perché Francesca soffre anche di discalculia, ovvero il disturbo relativo all’apprendimento del sistema di numeri e calcoli.
La risposta arriva ma non è quella che si aspetta. «Ho avuto altri casi simili – si legge nella mail di risposta della docente – e, come fatto in passato, le confermo che potrà usufruire del tempo aggiuntivo del 30 per cento». Misura, questa, che per la legge 170 del 2010 è valida per gli esami in forma scritta ma, complice la pandemia, la prova in questione si è svolta oralmente e online. Una circostanza che rende ininfluente l’assegnazione del tempo aggiuntivo. «Tra messaggi e scambi di sorrisi con l’assistente – racconta Francesca – mi hanno fatto quattro domande e mi hanno rimandata, io non ho risposto, ma se non mi dai un punto di riferimento come un insieme di simboli, la mia mente resta vuota perché ho difficoltà nel portare a termine un ragionamento logico da zero».
Tuttavia non esiste ancora una disciplina normativa che obblighi i docenti universitari a concedere l’utilizzo di strumenti compensativi. «Ci sono delle raccomandazioni della commissione ministeriale rivolte genericamente agli atenei – spiega a MeridioNews Daniela Catania, psicologa del Cinap, il centro che assiste gli studenti Unict con disabilità e disturbi del neurosviluppo – in cui si sottolinea che, a discrezione del docente, si possono utilizzare». Di volta in volta il professore, anche sulla scorta degli obiettivi dell’apprendimento che variano da materia a materia, decide discrezionalmente se concederli o meno «ma – prosegue Catania -, la maggior parte dei docenti, per prassi consolidata e salvo obiezioni legittime, riconoscono le misure compensative». Non in questo caso, però. «Di certo – sostiene la psicologa – è necessario che i docenti mettano a proprio agio chi soffre di questi disturbi e ne considerino la particolare sensibilità». Della stessa opinione il presidente del Cinap Salvatore Oliveri che a MeridioNews assicura «di tenere il caso sotto controllo».
«Dialogo sempre con gli studenti e quelle che definiscono risatine non sono altro che manifestazioni di cordialità – replica la docente Alessandra Ragusa contattata telefonicamente da MeridioNews -, siamo in un periodo in cui si naviga a vista e la didattica online non aiuta, soprattutto per le materie scientifiche». Per la professoressa, dunque, la materia necessita di uno studio approfondito. «Non posso concedere l’utilizzo di tabelle e calcolatrici – prosegue Ragusa – perché questo comprometterebbe la valutazione dell’esaminando», è la posizione della docente che sembra non ammettere ragioni. «Né posso permettere di fare esami con il libro aperto», tuona Ragusa. Prima che la telefonata si concluda, però, non risparmia un’ultima frecciata agli studenti: «Gli dica che si preparino, perché il prossimo esame è alle porte».
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