Legno, in nove anni consumo raddoppiato Mercato mondiale in mano alle ecomafie

Se mi si chiedesse di scegliere qualcosa che simboleggi questo secolo, sarebbe il vetro. Non c’è metropoli che non faccia la corsa in alto, verso il cielo, costruendo lunghe torri trasparenti. E che male fa, non c’è nessuno che può spiarti se hai un ufficio al cinquantesimo piano. La FAO (l’organizzazione ONU dedicata all’agricolture e ad alcune tematiche ambientali), però, è d’opinione diversa: il legno merita il podio.

In nove anni, dal 1999 al 2008, il valore totale delle transazioni avvenute nel mercato mondiale del legno è raddoppiato, da 300 a 600 miliardi di dollari. Nel 2020 l’Europa Occidentale richiederà da sola 650 milioni di metri cubi di carta e lavorati in legno. Il volume è pari a 260 piramidi di Cheope.

La crescita della domanda è tuttavia in netto constrasto con le politiche ambientali atte ad arginare il cambiamento climatico. Abbiamo bisogno di più alberi, quindi di meno deforestazione e di una produzione di legno sostenibile e controllata. Tutte cose che impediscono i produttori ad accontentare i mercati a prezzi bassi. E’ qui che entrano in scena le mafie del legno.

Non sono triadi, clan o gruppi di narcos. Sono businessmen, che aggiungono un pizzico di corruzione e violenza alle loro attività. Parla di loro un nuovo rapporto (assolutamente da leggere) firmato UNEP – organizzazione ONU per la protezione dell’ambiente – e InterPol.

Il documento scatta una panoramica a un fenomeno immenso, sconosciuto ai più e fino ad ora ignorato. Le cifre, come per ogni tipo di fenomeno criminale o sommerso, sono incerte. Si stima che la porzione di mercato del legno tropicale controllata dalla criminalità organizzata oscilli tra il 20% e il 50%, con un valore tra i 30 e i 100 miliardi di dollari annui. C’è, insomma, una buona probabilità che il legno della scrivania su cui scrivo sia illegale.

L’origine dei traffici illeciti è nel cuore dei polmoni della terra sudamericani, africani e asiatici. I metodi sono vari. Le compagnie si avvalgono di tangenti a pubblici ufficiali, della falsificazione di permessi o di trucchi contabili per nascondere agli occhi del doganiere le tonnellate di legno in più.

Le organizzazioni criminali approfittano anche di condizioni politiche disastrose che possano distogliere lo sguardo della comunità internazionale dalle loro attività, o che semplicemente permettano loro di agire indisturbati. Un esempio è il Congo. Dopo l’ultima guerra civile il Paese è ancora debole, colpito dai postumi di un conflitto che ancora causa morti. Viene fin troppo facile ai businessmen penetrare con milizie armate nelle sconfinate foreste congolesi e accaparrarsi ciò che serve.

Le conseguenze del traffico hanno la particolare caratteristica di espandersi più di quanto si immagini. E’ un male globale, letteralmente. In Indonesia l’habitat di specie in via d’estinzione, tra cui l’orango, sta velocemente scomparendo sotto il naso di rangers inermi di fronte agli eserciti privati che proteggono le seghe. Lo stesso vale in Congo, per quanto riguarda il gorilla bianco. Nelle Amazzoni e nel Sud-Est asiatico si ammazzano gli indigeni per far spazio ai trattori. In Colombia le forze paramilitari aumentano il proprio potere anche grazie alle tangenti pagate dalle mafie per disboscare le aree sotto la loro influenza.

Essendo la deforestazione una delle cause principali del cambiamento climatico, il mercato illegale del legno non fa altro che minare i già ineffettivi sforzi della comunità internazionale a diminuire drasticamente le emissioni di anidride carbonica. Ci saranno sempre meno alberi a convertirla in ossigeno.

L’UNEP e l’InterPol spiegano la diffusione del legno illegale: non esiste nessun sistema giuridico internazionale che permetta alle forze dell’ordine di perseguire i fautori del traffico. Mancano le leggi. Le partnership e gli incentivi transnazionali per scoraggiare ma non punire questo tipo di attività non sono stati abbastanza.

Fin quando i profitti sono alti e i rischi bassi, la mafia del legno continuerà ad esserci.

[Foto di Beilinson e FastCompany – il post originale è su Il Mafioscopio]

Stefano Gurgiullo

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