Legge 40, c’è un giudice a Strasburgo

«Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare». Questo è quanto recita l’articolo 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, e non consentire l’accesso alle tecniche di fecondazione eterologa ne comporterebbe la violazione. Ad affermarlo è una sentenza dei primi giorni di aprile della Corte Europea dei diritti dell’uomo (Cedu), chiamata in causa da due coppie austriache con problemi di sterilità che potevano essere risolti solo attraverso il ricorso alla fecondazione artificiale eterologa, vietata in Austria.

In Italia, il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita è regolato dalla legge 40 del 2004, che ha l’obiettivo di “favorire la soluzione di problemi derivanti dalla sterilità o infertilità umana”, come enunciato al primo comma. Tali tecniche non vincono la sterilità, ma si sostituiscono all’atto generativo nel consentire alla coppia di ottenere il figlio desiderato. La fecondazione artificiale eterologa, vietata nel nostro ordinamento, consente di creare un embrione attraverso il ricorso al gamete, il seme oppure l’ovulo, di un soggetto esterno alla coppia. Abbiamo chiesto a Giovanni Di Rosa, presidente della sezione catanese dell’Associazione Scienza e Vita (figlia del Comitato nato con lo scopo di difendere la legge 40/2004 sulla procreazione medicalmente assistita durante il referendum che intendeva abrogarne alcune parti) e Ugo Salanitro, professori ordinari di diritto privato presso la Facoltà di Giurisprudenza di Catania, un giudizio tecnico sulle norme che regolano la procreazione medicalmente assistita in Italia e il loro parere riguardo a cosa cambierà nel nostro Paese dopo questa sentenza. Differenti le opinioni dei due giuristi nell’interpretare la legge italiana e nell’accogliere le disposizioni della Corte Europea dei diritti dell’uomo.

La legge 40 è una delle più restrittive in Europa. Perché? Come è disciplinata la materia negli altri stati?
Salanitro: «La legge italiana sulla procreazione assistita si colloca in quel gruppo di normative che hanno seguito con maggiore aderenza i principi posti dalla raccomandazione del Parlamento europeo del 16 marzo 1989: si trattava di principi particolarmente prudenti, in quanto influenzati, per un verso, dal timore che l’uso delle tecnologie nel campo della procreazione potesse risvegliare i fantasmi della eugenetica e, per altro verso, dall’idea che la procreazione artificiale non rispondesse a bisogni diffusi nella collettività ma a scelte elitarie. Valutazioni probabilmente superate dalle sopravvenute esigenze sociali (per l’aumento dei problemi di infertilità, la modifica delle relazioni familiari e del mercato del lavoro) e dal perfezionamento delle tecniche procreative, come dimostra anche la circostanza che quei principi non hanno trovato rispondenza nella maggioranza delle legislazioni europee, le quali hanno adottato soluzioni più liberali. Oltre all divieto dell’eterologa, alcune soluzioni pongono problemi di conformità costituzionale: nell’aprile del 2009, in un primo intervento, la Corte costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità della disposizione che limitava la fecondazione ad un numero massimo di tre embrioni da impiantare contemporaneamente. Altre scelte controverse, in cui la nostra legislazione si presenta più rigorosa, almeno in apparenza, rispetto alla maggioranza delle normative europee, riguardano il divieto di fecondazione di coppie fertili anche se portatrici di malattie genetiche, il divieto di ricerca scientifica sugli embrioni abbandonati. In altri casi, la soluzione controversa non discende dalla legge, ma da interpretazioni restrittive – a mio avviso erronee – date da interpreti accomunati dalla volontà di accreditare l’idea che la legge 40 sia particolarmente rigorosa».

Di Rosa: «La legge 40 vieta la fecondazione eterologa, limita a tre il numero degli embrioni che è possibile produrre e ne prevede un unico e contemporaneo impianto. Vieta la crioconservazione (conservazione in azoto liquido degli embrioni, ndr), vieta qualsiasi sperimentazione sull’embrione umano e ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni. Questa è la linea seguita da Italia, Polonia, Austria e Irlanda, che hanno mantenuto una tradizione formale radicata, che attiene ai problemi di tutela dell’individuo che nascerà. Tali questioni potevano essere risolte solo attraverso il ricorso all’ espressione del principio dell’identità dell’essere umano, che prescinde da qualsiasi valutazione metafisica o sovrannaturale. Ci sono poi Paesi della liberalizzazione assoluta, in cui si può fare qualsiasi cosa purché si rispetti un certo iter, tra questi la Spagna e l’Inghilterra, in cui sono presenti banche con migliaia di embrioni congelati, di cui non si conosce ancora la destinazione. Dicono che la nostra sia una legge dettata dal Vaticano, ma la legge è stata approvata dal Parlamento con una maggioranza trasversale».

Ora, secondo la Cedu, la fecondazione eterologa si configurerebbe come un diritto dell’uomo. Cosa ne pensa? Un diritto alla genitorialità a tutti i costi?
Salanitro: «Secondo l’interpretazione data dalla corte di Strasburgo, la scelta di concepire un figlio rientra nella sfera della “vita privata e familiare” tutelata dall’articolo 8 della Convenzione europea. Appare congruo, dunque, che i limiti debbano essere fondati sulla tutela di contrapposti interessi pubblici o privati di livello altrettanto elevato, e non su generiche considerazioni morali o di accettazione sociale: in assenza di giustificazione, il divieto di fecondazione eterologa risulta anche discriminatorio – ai sensi dell’articolo 14 della Convenzione – perché comporta un trattamento differenziato tra coppie i cui problemi di sterilità possono essere risolti dalla fecondazione omologa e coppie i cui problemi di sterilità richiedono un intervento di fecondazione con gameti di terzi. Secondo i giudici di Strasburgo, il rischio che attraverso la fecondazione eterologa si possano selezionare gli embrioni per obiettivi di tipo eugenetico, può essere evitato consentendo gli interventi soltanto a medici specializzati di comprovata capacità, vincolati a rigorosi codici di condotta. Non vi è quindi un diritto alla genitorialità a tutti i costi, ma l’estensione del diritto di procreare anche all’ipotesi in cui si siano adottate tecniche artificiali, salvo che non sussistano adeguate ragioni di segno contrario. Rispetto al problema degli embrioni in sovrannumero, si potrebbe prospettare la scelta di destinarli all’impianto affidandoli a coppie sterili o quella, eticamente più controversa, di destinarli, se non più vitali, alla ricerca scientifica».

Di Rosa: «Secondo la Corte, gli stati non sono obbligati a disciplinare la materia, ma qualora lo facessero non sarebbe giustificato un divieto alla fecondazione eterologa, laddove è consentita quella omologa. La corte afferma così un diritto alla procreazione che nel nostro ordinamento non esiste, un diritto alla procreazione a tutti i costi. Questo mina non solo il modello giuridico, ma il modello sociale d’identità personale. È semplice affermare l’esistenza di un diritto senza l’enunciazione di un corrispondente dovere. Si guarda al diritto fondamentale del genitore, ma al diritto del figlio chi pensa? Il problema è quello della riconoscibilità della propria identità. Il nostro ordinamento ha mantenuto una linea coerente nel rapporto tra derivazione biologica e diritto. Si va delineando un modello di doveri senza connessa alcuna responsabilità. Il diritto senza dovere deresponsabilizza, se crei degli embrioni hai il dovere di tenerli».

Al di là delle posizioni personali, qual è il vostro giudizio, da giuristi, di fronte al fenomeno del “turismo riproduttivo”? Secondo l’ESHRE (European Society of Human Reproduction and Embriology) in 5 anni quasi 50mila coppie, una su tre è italiana, sono emigrate nelle cliniche di tutta Europa. Si contesta che il divieto comporti solo una discriminazione di ordine economico, tra cittadini di serie A e cittadini di serie B. Perché chi ha le risorse economiche, emigra all’estero per avere un figlio.
Salanitro: «Occorre distinguere due diversi piani. In generale, non deve destare scandalo che vi siano ordinamenti con normative più liberali e ordinamenti con normative più rigorose e che vi siano soggetti che tendono a trasferire le proprie attività negli ordinamenti più liberali (si pensi alle discipline fiscali, ambientali, di tutela dei lavoratori, etc). Nel caso della procreazione assistita eterologa, il divieto assoluto non sembra rispondere ad interessi significativi e può rivelarsi controproducente nella misura in cui induce le coppie italiane a rivolgersi a strutture non controllate e non vincolate da codici etici. Per di più, la regolamentazione italiana è strutturata in modo tale da incentivare, più che tollerare, il turismo procreativo: il divieto è limitato soltanto alla fase della fecondazione dell’embrione con gameti di terzi, mentre non è sanzionato l’impianto in Italia dell’embrione già fecondato; inoltre viene disciplinato il rapporto di filiazione del nato da fecondazione eterologa, non solo riconoscendo il ruolo genitoriale alla coppia che ha dato il consenso, ma escludendo addirittura ogni rapporto con il donatore del gamete, che non ha da temere responsabilità genitoriali. In generale, la disciplina italiana si presenta “etica” solo in via di principio, in quanto in realtà i divieti ed i limiti sono spesso solo apparenti e di facile elusione: ad esempio, non è consentito utilizzare gli embrioni nella ricerca scientifica, ma non è vietata la sperimentazione sulle cellule staminali embrionali importate da altri Stati, ed è enunciato un divieto di accesso alla procreazione assistita delle coppie fertili , che non trova alcuna sanzione, neanche sul piano deontologico».

Di Rosa: «Il fatto supera sempre il diritto. Tutte le istanze devono essere ascoltate, ma sono tutte meritevoli di tutela? Si vuole diventare genitori per sé e non per gli altri. La libertà senza regole non è libertà, i principi esistono perché hanno una funzione di indirizzo della vita umana, altrimenti il diritto non serve a nulla. Il diritto ha alla base una funzione di indirizzo ineliminabile, la protezione dell’individuo».

La sentenza della Cedu invita tutti gli Stati europei che hanno firmato la convenzione a procedere con legislazioni “più proporzionate rispetto alla questione e che non pongano divieti assoluti”. Sono pronti numerosi ricorsi giudiziari, il primo è stato presentato a Bologna il 15 aprile, seguiranno Firenze, Roma, Catania e Milano. Cosa succederà?
Salanitro: «Ai sensi del primo comma dell’articolo 117 della Costituzione, le leggi ordinarie devono essere conformi ai trattati internazionali: ne deriva che si pone un serio problema di conformità costituzionale del divieto di fecondazione eterologa nella misura in cui si reputi che viola la Convenzione europea. Si tenga infatti presente che, secondo la giurisprudenza più recente della Corte costituzionale, l’interpretazione della Convenzione europea spetta alla Corte di Strasburgo. La Corte costituzionale, seguendo la politica di cautela che adotta generalmente nelle questioni eticamente sensibili, potrebbe anche salvare, almeno in via di principio, il divieto di fecondazione eterologa, introducendo una deroga, conforme al principio di gradualità posto dalla legge 40, che consenta l’accesso alla fecondazione eterologa soltanto a quelle coppie sterili i cui problemi non siano superabili con il ricorso alla fecondazione omologa».

Di Rosa: «Ci sarà nuovo materiale per i legali. La legge 40 è stata approvata in parlamento ed è sopravvissuta al referendum del 2005. È necessario chiarire che la CEDU non è un organo dell’Unione Europea. La corte di Strasburgo che ha emesso la sentenza, la stessa del crocifisso, è un organo del Consiglio d’Europa. Occorrerebbe dunque che il nostro legislatore modificasse la legge, perché quelle della corte non sono disposizioni vincolanti. Se per via giudiziale vogliamo trovare altre soluzioni, che lo si dica, togliamo il parlamento. Il giudice finirà così per sostituirsi al legislatore, ammantato dal velo dei diritti fondamentali dell’uomo che vengono inventati ad ogni nuova decisione».

Flavia Musumeci

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