Le statue dei Savoia in Sicilia? Regaliamole tutte al Piemonte…

Nei giorni scorsi, a Palermo, in occasione dei ‘festeggiamenti’ dei 150 anni dell’Unità d’Italia, presenti le ‘autorità’, sono stati inaugurati i restauri di due monumenti che ci riportano al nostro ‘glorioso’ passato, o presunto tale: l’obelisco dei Martiri dell’indipendenza e la statua equestre di Vittorio Emanuele II di Savoia. Passi per l’obelisco dei Martiri, ma la statua di Vittorio Emanuele II ce la potevano pure risparmiare.

Qui non si tratta di esprimere un giudizio – che pure è negativo – sui comportamenti codini e tentennanti tenuti da casa Savoia durante gli anni del fascismo e nei giorni in cui andò in scena quella farsa che fu l’armistizio. La questione è un’altra ed è molto più seria. Ed è stata illustrata in modo incisivo e illuminante da Pino Aprile, autore di un libro bellissimo: “Terroni”. Dove vengono descritte con rigore tutte le nefandezze perpretrate dai militari dei Savoia nel Sud d’Italia all’indomani della “Conquista del Sud”, per dirla con lo scrittore Carlo Alianello.

Si tratta, è chiaro, di cose che in parte si conoscevano. Fatti e misfatti che scrittori e storici del passato – come, per l’appunto, il già citato Carlo Alianello (autore dell’indimenticabile ‘L’eredità della priora’), per certi versi Denis Mack Smith nella sua ‘Storia della Sicilia medievale e moderna’, Indro Montanelli nella sua ‘Storia d’Italia’ e altri autori di stampo meridionalista – hanno scritto.

Il merito di Pino Aprile sta, a nostro modesto avviso, in due elementi tra di loro legati. In primo luogo, questo libro è arrivato in libreria proprio nel momento in cui il dibattito politico italiano – con Berlusconi capo del governo – lungi dal rilanciare la questione meridionale per unificare realmente il nostro Paese (prendendo spunto, ad esempio, dall’incredibile sforzo finanziario messo a punto nell’ultimo decennio dai tedeschi per unificare l’ex Germania Est con l’ex Germania Ovest: e stiamo parlando di centinaia di miliardi di euro!), ha inventato una ‘questione settentrionale’ che, di fatto, nega il valore dell’Unità d’Italia, chiedendo ulteriori penalizzazioni per il Sud. In secondo luogo, perché il libro di Aprile è un invito concreto e stringente affinché nel nostro Paese si cominci a riflettere sul Mezzogiorno, guardando sì agli errori commessi dalle classi dirigenti meridionali, ma anche ripensando a quello che non è stato fatto – e che continua a non essere fatto – in questi anni nel Meridione.

Notiamo – e ci dispiace sottolinearlo – due pesi e due misure nella gestione collettiva della ‘memoria’. Proprio in questi giorni, mediante un bando che prevede l’utilizzo di apposite risorse finanziarie, l’Unione Europea invita i Comuni europei a gemellarsi. Per mettere a confronto culture diverse, ma anche – e questo viene specificato a chiare lettere – per non dimenticare gli orrori del cosiddetto ‘Secolo breve’, cioè del Novecento, con particolare riferimento al nazismo e allo stalinismo.

 

Ci permettiamo di ricordare – e il volume ‘Terroni’ lo ricorda a tutti – che nel Sud d’Italia, per oltre un ventennio, è stata perpetrata una strage nei confronti di una popolazione che si rifiutava di genuflettersi alle prepotenze di casa Savoia e dei suoi sgherri. Ragazzi appena ventenni delle contrade di tutto il Sud d’Italia che venivano costretti, per sei o sette anni, a svolgere il servizio militare in un esercito, di fatto, straniero.

 

Da qui, spesso, il “no” dei giovani a questa propotenza. Da qui le persecuzioni per chi si rifiutava di regalare sette anni della propria vita a casa Savoia. E poi altre persecuzioni su uomini, donne e spesso anche bambini ‘regolarmente’ scannati dai militari savoiardi. Anche Montanelli, che non era meridionale ma toscano, nel volume ‘L’Italia dei notabili’, non riesce a provare simpatia per i Savoia e – di simpatia – ne prova invece tanta per Carmine Crocco, un ‘brigante’ che aveva un codice d’onore molto più serio di quello degli inumani e odiosi generali piemontesi.

 

Dobbiamo farne, forse, una questione numerica? Perché i morti per mano nazista o stalinista sono stati milioni, mentre i meridionali fatti scannare dai Savoia alcune centinaia di migliaia ‘appena’? “Nessun uomo è un’Isola – ci ricorda una celebre poesia di John Donne -. Ogni uomo è un pezzo del Continente, una parte della Terra. Se una Zolla viene portata via dall’onda del Mare, la Terra ne è diminuita, come se un Promontorio fosse stato al suo posto, o una Magione amica o la tua stessa Casa. Ogni morte d’uomo mi diminusce, perché io partecipo all’Umanità. E così non mandare mai a chiedere per chi suona la Campana: Essa suona per te”.

 

La ‘Campana’ suona per tutti. Tranne che per gli eccidi commessi dai savoiardi nel Sud d’Italia. E questo è diventato ineccettabile. Così come è inaccetabile ricordare i 150 anni dell’Unità d’Italia nel Sud ‘festeggiando’ il restauro della statua equestre di Vittorio Emenuele II di Savoia.

 

Qui non si tratta di mettere su bande di scalmanati per abbattere le statue dei ‘padri’ del Risorgimento (come avvenuto qualche anno fa in Sicilia contro una statua di Garibaldi, personaggio che merita comunque rispetto, se non altro perché, ormai su con gli anni, ammetteva che il Sud d’Italia aveva ragione da vendere, e confessava che, se lui fosse tornato in quelle contrade, la gente del Meridione avrebbe avuto tutte le ragioni del mondo per prenderlo a sassate…). Si tratta, al contrario, di avviare un ragionamento pacato non soltanto per evitare – almeno nel Sud d’Italia (in Piemonte, ovviamente, possono fare quello che vogliono) – di ‘festaggiare’ l’Unità d’Italia con Vittorio Emanuele II, ma anche per cominciare ad eliminare dalle nostre vie – con riferimento al Sud, Sicilia in testa – le statue di casa Savoia.

 

E’ chiedere troppo? Secondo noi, no. I due pesi e le due misure, soprattutto dalle nostre parti, sono diventati intollerabili. La tesi che gli abitanti del Sud debbano soprassedere sempre a comunque rispetto alle ‘smemoratezze’ e alle nefandezze storiche e attuali che sono state perpetrate – e che continuano ad essere perpetrate – non funziona più. La storia non può essere “maestra di vita” per tutti, tranne che per noi meridionali.

 

Anche perché, restando qui in Sicilia, a furia di ‘rimuovere’ le incongruenze di quel grande equivoco che fu – almeno per il Sud d’Italia – il Risorgimento, ci siamo via via assuefatti alle prepotenze operate dallo Stato. Non dobbiamo parlare dell’Alta Corte per la Sicilia, “sepolta viva” (la definizione è dell’ex presidente della Regione, Giuseppe Alessi) con un colpo di mano ‘incostituzionale’ dalla Corte Costituzionale. Continuiamo a subire, di fatto, la mancata applicazione degli articoli 36, 37 e 38 dello Statuto autonomistico. E non diciamo nulla se i fondi europei, che dovrebbero essere ‘aggiuntivi’ rispetto a quello dello Stato italiano, finiscono, di fatto, con il sostituire gli interventi ordinari dello stesso Stato italiano.

 

Certo, la politica, l’attuale politica siciliana, spesso non ci aiuta. Ma questo non è un buon motivo per subire. Il Sud, come si diceva negli anni ‘50 del secolo scorso, deve tornare “all’opposizione”. E questa opposizione deve partire da segnali precisi: e uno di questi segnali che Pino Aprile ci ha regalato con il suo libro e, in generale, con la sua opera, è quello di riappropiarci della nostra dignità di italiani che hanno deciso di fare i conti con il presente e con il passato.

 

Vittorio Emanuele II e i Savoia non hanno alcun titolo per restare – anche sotto forma di statue equestri – nelle città del Sud, perché la presenza di questi ‘segni’ negativi allontana il Sud dall’Italia. E allora apriamo un dibattito – lo ripetiamo: pacato ma fermo – per dire a chiare lettere che il Mezzogiorno, con i Savoia, non vuole avere nulla a che fare.

 

 

 

Giulio Ambrosetti

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