Le meraviglie Museo del mare

L’altro giorno, era una sabato mattina come tanti e, a dispetto del significato derivante dall’antica origine ebraica shabbat, che dovrebbe vedere ognuno astenersi da qualsiasi impegno o attività lavorativa, per me, che sono un impiegato e soprattutto non faccio parte della genìa ebraica, è il giorno della settimana in cui posso dedicarmi e dare spazio alla cura delle varie incombenze e commissioni familiari.
Perciò, dicevo, l’altro giorno o come già detto l’altro sabato, una volta terminate le tante faccende e commissioni mattutine, mi sono ritrovato, stranamente ed insolitamente, già libero che era mezzodì. Il disbrigo dei miei vari impegni mi aveva condotto nella zona dell’antica Palermo marittima, o per meglio dire portuale. Sì, antica e dimenticata, perché Palermo, a differenza di altre città italiane e mediterranee che si affacciano sul mare, vuoi per lo sviluppo che l’assetto urbanistico ha preso nel tempo, vuoi per l’abbandono e la crisi di specifiche attività economico-imprenditoriali e sociali legate all’ambiente marinaro-portuale, che ne hanno caratterizzato negli anni la lenta scomparsa di mestieri, di attività commerciali, la modifica dell’ambiente e del paesaggio, concorrendo alla perdita e al degrado del prezioso patrimonio storico, economico e culturale collegato al mare, a volte, dicevo, Palermo tutto può sembrare fuorché una città di mare.
Ciò ha contribuito nel tempo a delineare un rapporto complesso e problematico, sia personale che collettivo, tra la città di Palermo, i suoi cittadini e l’ambiente costiero e marittimo. La maggior parte del litorale è occupato da capannoni industriali, spesso fatiscenti e in disuso, da discariche di sfabbricidi e rifiuti vari che hanno contribuito negli anni, unitamente ad altri eventi collegati al periodo storico post-bellico del secondo conflitto mondiale, a provocare l’allontanamento del mare dalla città.
Ad eccezione dell’area di costa prospiciente il Foro Italico davanti la “passeggiata delle Cattive” e dell’area dell’antico porto della Cala, emblema per anni di degrado e abbandono, oggetto in passato e di recente di ripetuti interventi di recupero e restauro, non esistono a Palermo oggi altri spazi che consentano, in modo agevole e gradevole, ai cittadini ed ai tanti visitatori di poter godere e fruire di momenti di incontro, di passeggio e di condivisione individuale e collettiva del mare.
Così, ritornando al mio racconto, come se fossi guidato da un immaginario filo di Arianna, che doveva condurmi al mare, all’antico mare della mitica Panormos, alla ricerca di quella idea a cui richiama l’etimologia del nome “tutto porto”, di una traccia che un tempo era l’alleanza di Palermo con il suo mare, magicamente, mentre ammiravo l’eleganza dei tratti del cavalluccio marino del Marabitti, che contribuisce alla suggestiva e lirica atmosfera di piazza Santo Spirito, la mia attenzione venne attirata da un grande edificio bianco alle mie spalle, con portico e colonnato per tutta la sua lunghezza: evidente testimonianza di edilizia scolastica degli anni ’60.
Ho già 50 anni suonati, ma devo ammettere che nella mia lunga militanza di cittadino palermitano non mi è mai capitato di allungare il passo oltre la soglia dell’Istituto tecnico Nautico “Gioeni di Trabia”. Sì, perchè, quel grande edificio di fronte la fontana del Marabitti, progettato dagli architetti A. Bonafede, P. Gagliardo, G. Spatrisano e V. Ziino, nell’area dell’ex ospedale di San Bartolomeo, è l’ultima sede dove dal 1964, dopo un lungo peregrinar di sedi, trova ancora oggi dimora la Scuola Nautica a Palermo. Istituto che può vantarsi di una lunga tradizione storica fondato, nello stesso anno in cui a Parigi avveniva la presa della Bastiglia, da Monsignor Gioeni dei duchi d’Angiò, con il precipuo obiettivo di “fornire alla città di Palermo e alla Sicilia, gente di mare adeguata, avente una approfondita conoscenza della scienza della navigazione”.
E’ proprio all’interno dello stabile ove ha sede l’Istituto nautico che una piccola stanza, ubicata nei locali al piano terra (in fondo a sinistra entrando dal portone principale che dà sul colonnato), ospita il Museo del Mare “Alberto Prestigiacomo”.
E’ una piccola stanza, ma che accoglie in sé, come una Wunderkammer del XVII secolo, una collezione di modelli navali e imbarcazioni straordinarie, che ti conducono a ritroso nel tempo seguendo un percorso storico ed al contempo magico volto a recuperare le dimensioni di una tormentata relazione tra uomo e mare ed a ricostruire le trame di un discorso dimenticato.
Questo piccolo Museo si regge grazie alla operosità di alcune persone che mettono a disposizione parte del loro tempo e della loro competenza, ma soprattutto passione e amore per le tradizioni marinare siciliane, nel tentativo di riannodare momenti ed eventi storici, mito e leggenda, che consentano di recuperare, attraverso la raccolta di oggettistica navale, ma sopratutto attraverso la riproduzione in scala di modelli di caratteristiche imbarcazioni del naviglio storico siciliano, antichi saperi di vecchi pescatori, marinai e maestri d’ascia, spesso misteriosamente nascosti in particolari e dattagli tecnici di costruzione e ricucire, almeno in parte, l’antico rapporto tra uomo e mare.
Dalla sardara palermitana a quella catanese, dalla tartana, avente la caratteristica dell’abbondante “pescaggio” che le permetteva, così mi hanno spiegato, di affrontare anche il mare più difficile, alla feluca in uso nei mari tra Scilla e Cariddi che ospitava in cima al suo alto albero la vedetta che allertava i marinai del luntro, imbarcazione più piccola e veloce, sui movimenti del pescespada per favorirne la caccia. E così via dalla goletta palermitana alle diverse imbarcazioni impiegate per la pesca del tonno, dalle navi da carico e trasporto merci tipicamente siciliane come lo schifo, lo schifetto e lo schifazzo a quelle specificatamente adibite al trasporto di botti di vino e olio come il leudo. Ed ancora i cosiddetti vaporetti che hanno assicurato i trasporti di merci e passeggeri tra la Sicilia, le Isole e il Continente nel secolo appena tramontato. E non mancano alcuni modelli di imbarcazioni che hanno svolto un ruolo determinante nelle vicende storiche del Mediterraneo segnando, nel bene e nel male, il destino dell’intero continente europeo come la Capitana di Sicilia che nel 1571 prese parte con il suo equipaggio alla battaglia di Lepanto che vide l’armata cristiana prevalere sulla potente flotta dell’Impero Ottomano. Il modello, realizzato in pregiati legni di mogano, castagno e pero, ha una lunghezza di 160 cm ed è stato possibile realizzarlo partendo dall’unica raffigurazione pittorica esistente di questa antica e leggendaria galera conservata alla Fondazione Mormino di Palermo.
Ma non solo di “Mare nostrum” si racconta, accogliendo la collezione modellistica anche vascelli che hanno solcato mari diversi e segnato altri momenti importanti della Storia umana quali la H.M.S. Victory nave ammiraglia di Horatio Nelson nella battaglia di Trafalgar, la H.M.S. Prince, la Santa Maria una delle caravelle di Colombo, sino a giungere alla più recente corazzata Roma che rappresentò il meglio della produzione navale bellica italiana del 2° conflitto mondiale.
Si rimane affascinati nell’ammirare l’armonia delle proporzioni, la cura dei dettagli costruttivi, anche i più piccoli, che caratterizza tutta la modellistica conservata in questa meravigliosa, è il caso di ripeterlo, piccola camera delle meraviglie che è il Museo del Mare “Alberto Prestigiacomo”.
Consiglio un po’ a tutti di visitarlo, grandi e ragazzini. L’accesso è gratuito ed è consentito, per gentile concessione della Presidenza dell’Istituto tecnico Nautico “Gioeni di Trabia”, tutti i giorni feriali della settimana nelle ore antimeridiane ed eccezionalmente anche nelle ore pomeridiane dal 2 gennaio al 6 gennaio del 2012. Museo del Mare “Alberto Prestigiacomo”, Corso Vittorio Emanuele n. 27, Palermo. Sito web: www.museodelmarepalermo.it

 

 

Paolo Picone

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