Da una parte i lavoratori della Myrmex, dall’altra quelli del Consiglio nazionale delle ricerche. La lotta contro l’acquisizione dei laboratori alla zona industriale è doppia e trasversale. I dipendenti dell’azienda di proprietà di Gianluca Calvi sono tornati davanti ai cancelli della sede alla periferia sud di Catania, contro l’intenzione di acquisto manifestata da parte del consiglio di amministrazione dell’ente di ricerca. Di fatto escludendo l’imprenditore Roberto Giusti di Prestafarma, che si era detto pronto a riassorbire anche tutti i lavoratori e a rilanciare le attività dell’impresa.
«A metà dicembre, andando sul sito del Cnr, abbiamo avuto questa amara sorpresa – spiega a
MeridioNews Giovanni Romeo della Filctem Cgil – Era stato pubblicato l’ordine del giorno del cda. Fra i punti c’era anche l’interesse all’acquisto di questo stabile del centro di ricerca che, però, poi non è stato discusso ma rinviato al prossimo 29 dicembre. La loro attenzione a noi sembra del tutto anormale sia dal punto di vista logistico, considerando che la struttura è fuori dai circuiti della ricerca etnei, sia dal punto di vista economico». Perché, si chiede Romeo, «dovrebbero comprare a 12 milioni di euro da un privato qualcosa che dalla Regione potrebbero avere a un euro?».
Già durante l’estate gli ex ricercatori della Myrmex avevano appreso di questo interessamento del Cnr. Poi lo scorso 23 ottobre, la Regione aveva impugnato la delibera del 2011 che prevedeva che l’ente regionale potesse riacquisire il centro ricerca tossicologico per un euro. Cifra simbolica alla quale l’aveva acquistata, dall’azienda farmaceutica Pfizer, Gian Luca Calvi avvocato e amministratore unico della ditta milanese specializzata nella distribuzione di dispositivi per l’ortopedia e la traumatologia Myrmex. In poco tempo, Calvi aveva reso improduttivo il centro tenendo per due anni i ricercatori senza lavoro. Durante la cessione, l’imprenditore lombardo aveva stipulato con la Regione un accordo che lo impegnava a mantenere il personale del laboratorio fino al settembre 2013.
Cinque mesi dopo però, nel febbraio del 2014, i lavoratori si trovano a dover fare i conti con la
cassa integrazione. Iniziano le manifestazioni di protesta per chiedere che la Regione faccia da garante e da tramite per l’acquisto del laboratorio. È il 2015 quando arriva l’avvio della procedura di mobilità per 63 lavoratori. Dopo un incontro a Roma, in cui il caso Myrmex viene esposto al ministero delle Attività produttive, pare profilarsi la possibilità di un tandem pubblico-privato in cui entrerebbero in campo l’università di Catania e altre imprese. Nel febbraio del 2016 il licenziamento definitivo per i dipendenti che scoprono che il polo è stato messo in vendita su internet. Durante lo scorso mese di luglio era sembrata concreta la volontà di investire dell’imprenditore italo-libanese Roberto Giusti.
«Lui si è detto disponibile e interessato non soltanto all’immobile ma anche a
riassumere i ricercatori – afferma Romeo – Durante il periodo di ristrutturazione della sede, avrebbe provveduto a farli formare all’estero. Inoltre, Giusti ha anche dichiarato di avere intenzione di produrre farmaci generici per la più grossa multinazionale del settore. Così avremmo risolto non solo la situazione occupazionale dei lavoratori ma saremmo anche andati oltre pensando allo sviluppo del territorio». Adesso, l’obiettivo è evitare l’acquisto da parte del Cnr, che non assumerebbe i dipendenti: «Stiamo facendo di tutto per potere essere convocati dal presidente della Regione prima del 29 dicembre», conclude Giovanni Romeo.
Attualemente il Cnr a Catania ha diverse sedi: in via Paolo Gaifani, ospitato nei locali dell’università, c’è l’istituto di chimica biomolecolare; alla Zona industriale c’è l’istituto per la microelettronica e i microsistemi (Imm) e in via Biblioteca c’è invece la sede dell’istituto per i beni archeologici e monumentali (Ibam). A voler bloccare gli intenti del consiglio di amministrazione, poi, ci sono gli stessi ricercatori dell’ente. Sia i precari sia gli strutturati. «Questa possibilità è inaccettabile», spiega a MeridioNews Angelo Palmigiano, 39enne precario che da anni vive fra assegni di ricerca e contratti a tempo determinato. «Innanzitutto per l’impegno della spesa economica, alla luce del fatto che non sono mai stati trovati fondi sufficienti né per gli oltre 75 lavoratori nelle mie stesse condizioni né per la strumentazione. Tanto che spesso non ci sono fondi nemmeno per comprare i reagenti, che per noi sono la base».
A questo si aggiunge una questione strettamente logistica legata alla collocazione della sede della zona industriale. «Anche la maggior parte degli strutturati si oppone: sono stati loro a esporsi, visto che sono più tutelati. E non lo hanno fatto perché la struttura della Myrmex sia fatiscente o priva dei servizi necessari: il punto è che sarebbe troppo lontana dai partner con cui solitamente lavoriamo, il Policlinico o l’università». Il che potrebbe compromettere alcuni tipi di esami. «Per esempio – continua Palmigiano – lavorando analisi biologiche come quelle che riguardano i contenuti di proteine è fondamentale che il campione arrivi nel minor tempo possibile per riuscire a mantenere, nel contenitore di azoto liquido, la temperatura che aveva nel freezer da cui è stato prelevato senza alterarsi. Quello che ci chiediamo – conclude – è il motivo per cui, con tante altre sedi che potrebbero essere prese in considerazione, il cda ha deciso di investire su questa per ripianare i conti di un privato».
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