La Sicilia, insieme alla Campania, è la regione che ha perso più residenti negli anni della crisi. In 73mila, tra il 2008 e il 2015, si sono trasferiti dall’Isola, stabilendo in un’altra regione del Paese la propria residenza. Lo dice l’ultimo rapporto dell’Osservatorio statistico dei consulenti del lavoro, intitolato Il lavoro dove c’è. Lo studio prende in esame gli spostamenti legati alla ricerca di un’occupazione, sia quelli interni all’Italia, sia quelli verso l’estero. Ma se nel primo caso è possibile ricavare il dato regione per regione, nel secondo viene data la somma nazionale: negli ultimi sette anni, mezzo milione di italiani (509mila) hanno deciso di portare la propria residenza in un Paese straniero. E a farla da padrone resta l’Europa: nel 2015 le mete preferite dagli italiani per farsi una nuova vita sono la Germania (20mila persone), il Regno Unito (19mila) e la Francia (12.600).
«Questa fuga dei residenti italiani – scrivono gli analisi dell’osservatorio – può essere interpretata come l’effetto della crisi della domanda di lavoro interna. Questa fonte registra l’effettivo abbandono dell’Italia da parte dei residenti, probabilmente a seguito di un periodo di ricerca, allo scopo di migliorare le condizioni di vita e di lavoro presso uno Stato estero. Un forte incremento dei flussi migratori verso l’estero si registra, infatti, a partire dal 2012, dopo almeno tre anni di dura crisi e di perdita di molti posti di lavoro. Le prospettive ancora oscure sulla ripresa hanno comportato drastiche scelte di vita laddove si sia presentata una possibilità concreta di occupazione». Ma a scegliere l’estero sono anche moltissimi stranieri che si erano trasferiti negli anni precedenti in Italia: tra il 2008 e il 2015 sono stati oltre 281mila ad andarsene dal nostro Paese, cioè circa il 30 per cento della cittadinanza straniera. «Si tratta in larga misura di rimpatri di cittadini dell’Europa dell’Est che, in mancanza di lavoro, hanno fatto ritorno al Paese di origine (Romania, Ucraina, Polonia, Moldavia)», si legge nel rapporto.
A dare il quadro delle differenze tra Nord e Sud d’Italia concorrono poi i dati sui flussi migratori interregionali. Le regioni che in otto anni hanno perso il numero maggiore di residenti sono Campania (-160 mila), Sicilia e Puglia (-73 mila). Viceversa, le regioni che hanno ricevuto il numero maggiore di migranti interni sono la Lombardia (+102 mila), l’Emilia Romagna (+82 mila), il Lazio (+51 mila) e la Toscana (+54 mila). Dati che aggiornano quelli forniti dallo Svimez, l’Associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno che ha fatto i conti: dal 2001 al 2014 quasi 1 milione e 700mila persone sono emigrate dal Mezzogiorno. Poco meno della metà – 744mila – non sono più tornati. E tra questi ultimi che hanno scelto di vivere definitivamente altrove, 526mila sono giovani, il 40 per cento con un percorso universitario alle spalle.
Nell’ultimo report dell’Osservatorio dei consulenti del lavoro c’è infine un approfondimento su quanti fanno i pendolari ogni giorno per motivi di lavoro: quanti cambiano Comune, provincia o addirittura regione. Negli anni della crisi, in Italia è diminuita la percentuale di chi lavora nello stesso Comune di residenza (si è passati dal 57 al 54 per cento), mentre è aumentata quella di chi cambia città o provincia (rispettivamente dal 33,1 al 34,6 per cento e dal 6,5 all’8,1 per cento). Ma questo trend si registra in misura minore nel Meridione e in Sicilia. «Lo studio degli spostamenti per motivi di lavoro risente di molteplici fattori strutturali – spiega a MeridioNews Giuseppe De Blasio, ricercatore che ha curato il report -: la dimensione delle province, la loro contiguità, i mezzi di trasporto e le infrastrutture di collegamento. La mobilità in province limitrofe è migliore al Nord, mentre è molto più onerosa al Sud, soprattutto nelle Isole a causa delle distanze e delle infrastrutture peggiori».
«La conformazione delle province del nord e la maggiore efficienza delle infrastrutture di trasporto – conclude il rapporto – comportano che la distanza media fra i capoluoghi delle province confinanti, oggetto di pendolarismo, è di 52 chilometri, percorsi mediamente in 37 minuti. Le distanze e i tempi di percorrenza medi salgono al Centro Italia (61 chilometri per 46 minuti di percorrenza) e sono massimi nel Mezzogiorno (74 chilometri per 51 minuti di percorrenza)». Così molti lavoratori meridionali, soprattutto quelli con alte qualifiche, sono obbligati a cambiare residenza per lavoro, senza avere l’alternativa del pendolarismo.
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