L’Autonomia siciliana secondo Mario Mineo

di Simone Correnti

Pubblichiamo con piacere il secondo articolo di un giovane studente universitario appassionato di storia dell’Autonomia siciliana. Il nostro augurio è che altri giovani siciliani – speriamo tanti – si appassionino alla Sicilia e alla nostra Autonomia troppo spesso tradita una una politica ‘ascara’.  

 

Il contributo del filosofo Mario Mineo fu fondamentale nella stesura dello Statuto siciliano. Egli fece parte della commissione, nominata da Salvatore Aldisio (Alto commissario), per la creazione del progetto di Statuto da votare nella consulta regionale.

Mineo presentò di sua iniziativa, in sede di commissione, un originale progetto, che rispecchiava in toto la sua ideologia socialista. Anche se le sue idee non diventarono Statuto siciliano, il suo contributo in commissione fu importante. Molti articoli dell’attuale Statuto sono modellati secondo il progetto Mineo.

Fu un fervente antiseparatista. Non vedeva di buon occhio le tesi indipendentistiche per due ragioni. In primo luogo, credeva che a volere l’indipendenza fossero solo i grandi latifondisti che speravano di mantenere lo status quo, e tenere lontani, nel continente, i fermenti “rossi” che provenivano dall’Europa. In secondo luogo ritenne pericolosa una Sicilia indipendente, perché probabile boccone per le potenze straniere.

Mineo si pone un quesito: può comportare giovamento l’Autonomia alla soluzione della questione siciliana, che lui ritiene essere “un caso particolare della questione meridionale”? Egli inoltre s’interroga, nei suoi scritti, sul comportamento delle tre classi siciliane: latifondisti (reazionari), piccola borghesia e massa contadina.

Il ceto reazionario, composto dalla “borghesia latifondista”, è favorevole al separatismo per mantenere i propri privilegi, che andrebbero perduti con l’operare dei grandi partiti di sinistra. I latifondosti, vedendo il fallimento di Andrea Finocchiaro Aprile (leader separatista), sono guidati da Salvatore Aldisio a convertirsi alla formula dell’unitarismo reazionario di destra. Questa componente è dichiaratamente autonomista perché, grazie a un’Autonomia concessa dall’alto, non dalla base, possono continuare a garantirsi parte di quei privilegi, o comunque il processo di perdita sarà molto lento, invece che brusco e repentino. In sostanza, per Mineo, si tratta di un “separatismo camuffato”.

Il secondo gruppo è rappresentato dalla piccola borghesia (commercianti, gabellotti, preti e mafia). Mineo ritiene che solo una piccola parte fiancheggi gli interessi della “reazione agraria”, mentre il resto può facilmente accogliere l’Autonomia per ragioni “sentimentali” legate a caratteri propriamente regionali.

Il gruppo più numeroso è quello delle classi lavoratrici, ovvero, in quegli anni, la classe contadina che, affascinata in un primo momento dal separatismo, lo rigetta perché alleato con il nemico, i latifondisti. La classe contadina, per Mineo, non può avere simpatia per l’Autonomia.

Mineo interpreta due possibili conseguenze, positiva e negativa, nei risvolti dell’Autonomia. Quella negativa è la creazione di un’Autonomia che ha come scopo la conservazione dello status quo o di modificarlo lentamente, quindi annichilire la coscienza contadina. In questo caso, l’Autonomia diventa la trappola tesa dai partiti reazionari. Mineo è ottimista, ritiene che bisogna rischiare, perché il risvolto positivo dell’Autonomia è il risveglio delle masse contadine, per metterle faccia a faccia con il nemico, che non avrà più nessun governo a difenderli.

Fare diventare la classe contadina parte attiva della politica siciliana: questo è l’obiettivo principale di Mineo. Che vede l’Autonomia come “un formidabile strumento di educazione alla lotta e all’autogoverno delle masse lavoratrici dell’isola e di formazione di nuove elite politiche”.

Mineo è cosciente che, se ben formulata, può essere un’arma fenomenale, che ha la forza di spezzare secoli di sfruttamento della classe contadina e far partire la Rivoluzione proprio dalla Sicilia.

Nel suo progetto, Mineo attua non un’autonomia decentrata e amministrativa, ma conferisce alla Regione pieni poteri legislativi ed esecutivi, in determinati e precisi settori, fuori dai quali ha competenza esclusiva lo Stato. Se fosse il contrario, quindi una competenza in negativo, si tratterebbe di federalismo, mentre Mineo ritiene fondamentale e imprescindibile l’unità dello Stato.

Non vuole sovraccaricare la Regione di compiti che difficilmente potrà svolgere, sia per ragioni organizzative, sia finanziare. L’ordine pubblico e il potere giudiziario restano a carico dello Stato, mentre è permesso alla Regione creare corpi di polizia amministrativa e forestale, così come le spese riguardanti gli uffici statali e l’istruzione rimangono dello Stato. Il tutto improntato per ridurre i futuri conflitti di competenza tra Stato e Regione.

Le risorse finanziare della Regione sono: le tassazioni dirette e ordinarie sul reddito, mentre lascia allo Stato le imposte straordinarie e quelle indirette. Mineo riteneva essenziali le imposte dirette, perché affidandosi ai dati dell’epoca, le imposte maggiori in Sicilia erano quelle.

Il regime doganale è affidato allo Stato, poiché crearne uno differente richiederebbe un sistema monetario diverso da quello nazionale e ciò comprometterebbe l’unità dello Stato. Per risolvere questi problemi (di carattere doganale), sosteneva Mineo, sarebbe bastata la rappresentanza siciliana in Parlamento (povero Mineo, aveva troppo fiducia per la classe politica che lo seguì…).

La parte più importante del suo progetto è la creazione di un piano finanziario triennale per lo sviluppo economico dell’isola (per questo chiamata tesi “pianista”). Dato che la borghesia siciliana aveva sempre perso le occasioni per mettersi in movimento, per passare dalle parole ai fatti, non bastava la semplice Autonomia, ma un piano strutturato ogni tre anni, così la borghesia avrebbe avuto una guida per lo sviluppo agricolo e industriale dell’isola.

La Regione formulava il piano regionale insieme con i rappresentanti dello Stato, quest’ultimo finanziava, secondo proporzioni stabilite, parte del piano. Come garanzie istituzionali, per proteggere l’Autonomia siciliana da eventuali attacchi esterni o interni, si dota la Regione di un Alta Corte con sede a Roma, composta da sei membri, nominati da Regione e Stato. La collocazione a Roma, fu tema di discussione in commissione. L’altra sede era Palermo, ma Mineo, seguito da Enrico La Loggia, insistette per la sede fuori dalla Sicilia, per dare maggiori garanzie allo stato, per una questione di trasparenza e imparzialità.

L’Alta Corte giudica la costituzionalità delle leggi dello Stato e quelle eseguite dall’Assemblea regionalesiciliana. A impugnare le leggi della Regione è il Commissario dello Stato, che può inoltre proporre al Governo nazionale di sciogliere l’Ars, previa consultazione del Parlamento nazionale.

Per quanto riguarda l’organizzazione amministrativa, sono soppresse le Province, quindi le Prefetture, e i Comuni sono dotati “delle più ampie autonomie amministrative e finanziare”. È precisato nell’Art. 5 che tutte le materie non specificatamente attribuite alla Regione sono di competenza dello Stato. Nell’art. 2, in cui vengono conferiti alla Regione poteri legislativi esclusivi su determinate materie, tra cui l’agricoltura viene specificato un tema importante “senza pregiudizio delle riforme agrarie ed industriali che saranno deliberate dalla Costituente dello Stato italiano”. Mineo tiene a questa precisazione per evitare “l’effetto trappola” dell’Autonomia come vantaggio dei latifondisti, che possono usarla come un eventuale scudo contro la riforma agraria nazionale.

Questi, in sintesi, i punti fondamentali del progetto di Statuto elaborato da Mineo, che diventò la base di riferimento della commissione: “Dopo poche sedute, rilevatosi troppo farraginoso il progetto predisposto dal Prof. Salemi, la commissione accolse come base di discussione il mio progetto …”.

Con l’arrivo di Enrico La Loggia (Partito liberale) tutto cambia. La Loggia convoglia la discussione verso posizione rivendicative e riparazionistiche. Di colpo la commissione abbandona la tesi pianistica di Mineo con un vero e proprio “colpo di mano procedurale”. Lo stesso Mineo abbandonerà la commissione nelle ultime tre sedute. Alla fine degli anni ’60, in una lettera inviata allo storico Massimo Ganci, spiegherà questo “colpo di mano”, sostenendo che il progetto impostato alla “laloggiana” proteggeva in parte gli interessi dei reazionari, poiché produceva un cambiamento molto lento. Mentre la tesi “pianista” gettava le basi per una grande ripresa economica, in cui venivano incentivati settori come l’agricoltura e l’industria, un cambiamento così veloce avrebbe scombussolato e travolto il vecchio blocco agrario, che volle rimembrare, con l’Autonomia, il caro ritornello di lampedusiana memoria.

Correnti Simone

 

 

Fonti bibliografiche:

M. Mineo, Scritti sulla Sicilia, Flaccovio Editore Palermo, 1995

Regione Siciliana, Consulta regionale siciliana, Atti della V sessione, Edizioni della regione siciliana Palermo, 1976

 

Redazione

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