Laurea triennale, è un flop?

A tre anni dall’entrata in vigore della riforma universitaria si possono tirare le prime somme. I dati, secondo quanto rilevato dal Miur (ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca) e dal Centro di calcolo dell’università di Catania, sono alquanto sconcertanti: su 9206 iscritti all’apertura dei nuovi corsi di laurea di primo livello appena l’ 8,1 per cento è riuscito a laurearsi nei tre anni di durata legale del corso. Sono infatti 746 gli “studenti perfetti” che sono riusciti a concludere i corsi triennali nell’ateneo catanese.

Già questo semplice dato rispecchia come questo nuovo sistema universitario non sia riuscito, almeno finora, a raggiungere l’obiettivo principale che si era ripromesso: un aumento consistente dei laureati e una diminuzione del tempo medio di laurea.

Se al 2003, infatti, la durata media dei vecchi corsi di laurea era pari al doppio della durata legale del corso ( 4,5 anni di media per i vecchi diplomi triennali e 8 anni per i corsi di laurea quadriennali ), secondo quanto emerge dalle elaborazioni di AlmaLaurea, con il vecchio sistema universitario il 13,1 per cento degli studenti in Italia si è laureato in corso, mentre nell’ateneo catanese gli stessi dati al vecchio ordinamento ci restituiscono un 10,8 per cento di laureati nei termini legali di corso (dei quali il 6,7 per cento laureati in corso in età canonica e il 4,1 per cento oltre l’età canonica alla laurea).

E’ pur vero che si dovrà ancora aspettare del tempo per calcolare la media di anni che gli studenti impiegano per conseguire la tanto beneamata laurea di primo livello, anche se la sola percentuale ad oggi non permette, neppure ai più ottimisti, di fare delle rosee previsioni.

L’ ateneo catanese, poche lauree con qualche eccezione.
Chi più, chi meno, un po’ tutte le facoltà del nostro ateneo soffrono il nuovo sistema. A Scienze politiche spetta la palma d’oro come facoltà con il maggior tasso di laureati di primo livello nei termini legali del corso, con il 16 per cento del totale (140 laureati in tempo su 874 iscritti all’avvio della riforma). Il dato, però, comprende un cospicuo numero di studenti del corso in Scienze del servizio sociale (29) che, al pari di pochi altri corsi di laurea, è a numero chiuso. Com’è facile prevedere dalla tipologia di questi corsi rispetto agli altri, il rapporto numerico tra docenti e studenti è di gran lunga inferiore, il che porta a migliori risultati in termini di raggiungimento degli obiettivi didattici. Senza questo corso di laurea. la percentuale di Scienze politiche scende al 12,7 per cento.

La facoltà di Lingue e letterature straniere si posiziona sul gradino più basso nella scala d’ateneo: appena 9 studenti di Scienze per la comunicazione internazionale sono riusciti a ottenere la pergamena nei tre anni e nessuno di Lingue e culture europee, a fronte di 801 immatricolati nel 2001-02 in tutta la facoltà.
(Clicca qui per visualizzare i dati di tutte le facoltà dell’ateneo).

Si aspettano, è vero, i laureati, ancora “in corso”, della sessione di febbraio, ma il dato non è affatto confortante. Lingue, la più giovane facoltà dell’ateneo, considerata la sua specificità didattica richiederebbe un rapporto ottimale tra studenti e docenti, mentre risulta particolarmente penalizzata per il numero troppo esiguo di docenti di ruolo.

Ma la grave situazione in cui versa l’università nostrana non risparmia gli altri corsi. Delle dodici facoltà del nostro ateneo, solo altre quattro, oltre Scienze politiche, si attestano di poco al di sopra del 10 per cento di laureati nella durata legale dei corsi di studio: Ingegneria (15,2% di laureati), Farmacia (11,4%) Scienze m.f.n. (11,1%) e i nostri “cugini” di Lettere e filosofia che, grazie ai 41 laureati in Scienze della comunicazione, raggiungono una percentuale del 10,2 per cento.

I primi commenti. Nessun dato significativamente positivo dunque dai primi tre anni d’applicazione della riforma del “3+2”? Effettivamente sembra che, dal 2001 a oggi, l’ateneo catanese sia diventato più dinamico rispetto a prima. C’è molta e più costante mobilità tra le facoltà. Rimane da chiedersi se questo dato, in considerazione di un pressoché invariato tasso di abbandono (il 15 per cento degli studenti dell’ateneo catanese nel 2002/03, stesso tasso rispetto al precedente anno accademico, ndr) e di numero di laureati, sia da considerarsi un dato positivo.

Molti studenti cambiano facoltà o corso di laurea; altri utilizzano il passaggio per evitare la selezione nei corsi a numero chiuso (tipico esempio quello di Medicina che ha registrato un incremento di iscritti al primo anno del 19% nel 2002-03 rispetto all’anno precedente).

Secondo Alessandro Corbino, delegato del rettore alla Didattica, questo è risultato di un deficit d’orientamento al quale si potrebbe ovviare solo con una maggiore e più accurata informazione agli studenti, per premettere loro scelte più consapevoli.

Se da un lato, commentando i dati, Luciano Granozzi, membro della commissione didattica della facoltà di Lingue, dichiara che “se la riforma doveva essere un rimedio al fatto che la durata media dei corsi era il doppio rispetto alla loro durata legale, il rimedio è risultato peggiore del male”, Corbino tende a ridimensionare le cose. “I dati in questione – dice Corbino – non sono molto diversi da quelli del vecchio ordinamento e non toccano esclusivamente l’ateneo catanese, ma si inseriscono perfettamente in un trend nazionale che non è molto diverso. Il sistema – prosegue il docente – non ha ancora digerito la riforma e non ha cambiato i costumi e le abitudini non solo dei docenti, ma anche degli studenti”. Secondo Corbino non si tratta di un “flop” della riforma, ma è “necessaria una sospensione del giudizio per permettere – conclude – l’assestamento del sistema e operare su alcuni problemi come l’eccessiva assenza di linee di coordinamento”.

Ma la commissione didattica d’ateneo, che dovrebbe discutere di questi problemi, che fine ha fatto?

“Il presidente della commissione (che non viene convocata ormai da anni, ndr) – ci dice Corbino – non ha fatto ancora delle convocazioni, ma la Conferenza dei rettori delle università italiane (la Crui) ha già promosso, dallo scorso gennaio, una serie di incontri di tutti i delegati alla didattica per discutere e coordinare gli interventi necessari.”

In questi ultimi anni un po’ tutti si sono lamentati di questo sistema universitario, inserito forse troppo frettolosamente.

Gli aggiustamenti in corsa ci saranno e, si spera, in maniera sostanziale. Intanto non ci resta che prendere atto del fallimento in ciò che si era proposto di risolvere e sperare che, com’è capitato a noi, la situazione faccia riflettere chi è preposto a tali decisioni, su quale è il compito reale dell’università e quali sono le motivazioni alla base che determinano la scelta di iniziare un percorso di formazione universitario.

Links utili:
Conferenza dei rettori delle università italiane (Crui)
Consorzio interuniversitario AlmaLaurea
Scheda dei nuovi laureati in tutte le facoltà dell’ateneo catanase

 

Michele Spalletta

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