«Saro Nicotra è un imprenditore che ha i supermercati, si è candidato a sindaco […] alle elezioni del 2006 ad Aci Catena. È stato eletto e io gli davo le forniture di carne […] stiamo parlando di un soggetto sotto la famiglia Santapaola». La rivelazione è del pentito Giuseppe Laudani, reggente dell’omonimo clan mafioso fino alla decisione di collaborare con la giustizia. Una frase contenuta nelle pagine dell’ordinanza Vicerè e che, secondo fonti giudiziarie, farebbe riferimento al deputato del Partito democratico Raffaele Pippo Nicotra che, al momento, non risulta indagato dalla procura di Catania. «Questa persona sbaglia anche il mio nome – spiega a MeridioNews il politico catenoto – e inoltre nel 2006 non c’è stata nessuna elezione».
Nicotra, prima di approdare all’Assemblea regionale siciliana, è stato per due mandati primo cittadino di Aci Catena, l’ultima volta nel 2008. Una carriera politica da molti anni affiancata a quella da imprenditore proprio nel settore della distribuzione alimentare. L’ex boss Laudani, nei suoi racconti ai magistrati, entra nello specifico parlando di un’estorsione basata sull’imposizione delle forniture di carne. Stando alla ricostruzione, l’allora sindaco sarebbe stato indotto a comprare la merce da una ditta legata a doppio filo con la mafia locale: Le Carni srl. «Può andare a riscontrare benissimo dalla documentazione della ditta», specifica il collaboratore al pm. Netta la replica del politico: «Ho un responsabile che si occupa delle carni. Se qualcuno ha qualcosa da ridire, venga. Ma io non so niente».
Le rivelazioni di Laudani vengono bollate dal deputato, recentemente transitato da Articolo 4 al Partito democratico, come «stupidaggini». Una considerazione che resta inalterata anche quando gli si chiede una replica su un altro passaggio dei verbali contenuti nell’ordinanza Vicerè. «L’ho specificato la volta scorsa – dice Laudani – che Nicotra paga la famiglia Santapaola. Paga o comunque è una cosa della famiglia Santapaola». Il deputato sul punto è chiaro: «Estorsione? Ma io non so di chi stiamo parlando. Lei telefonicamente mi sta aggiornando su questioni che non conosco. Oltretutto mi dice stupidaggini: Saro Nicotra non sono io».
Il nome di Nicotra in passato è comparso nelle vicende giudiziarie che hanno portato allo scioglimento del Comune. È la fine del maggio 1993 e Nicotra riveste per la prima volta la carica di primo cittadino di Aci Catena, quando un esponente dei Santapaola-Ercolano viene ucciso nel corso di una rapina ad Acireale. In seguito a quell’episodio, le autorità dispongono il divieto di qualsiasi rituale di pubblico cordoglio e l’immediata tumulazione della salma. Prescrizione a cui, però, il sindaco tenta di opporsi in tutti i modi. A ricordarlo è, nel 2012, la giudice Marina Rizza nella sentenza di assoluzione di due giornalisti, querelati dal politico per aver raccontato quell’episodio.
Secondo la ricostruzione fatta dall’allora capitano della Compagnia dei carabinieri di Acireale, Giuseppe Arcidiacono, e successivamente dal comandante della stazione di Aci Catena, Giuseppe Serratore, Nicotra in due occasioni si oppone al divieto ritenendolo una «violazione del sentimento di pietà verso i defunti» e ipotizzando la possibilità di problemi all’ordine pubblico. Nonostante fosse stato proprio per tutelare l’ordine pubblico che le forze dell’ordine avevano deciso per una funzione privata. «Si sarebbe determinata una confluenza di pregiudicati e avrebbero potuto verificarsi azioni intimidatrici nei confronti di titolari di esercizi pubblici al fine di ottenerne la chiusura in segno di lutto», scrive la giudice riprendendo una nota del capitano.
Di fronte all’intransigenza dei militari, la reazione di Nicotra è prima quella di non far rimuovere i necrologi dalla città e poi di andare al cimitero a porgere le condoglianze ai parenti della vittima. Tra i quali anche Sebastiano Sciuto, l’allora referente dei Santapaola-Ercolano nel territorio delle Aci. Un mese dopo, il 30 giugno 1993, l’allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro scioglie l’amministrazione catenota per gli «inequivocabili collegamenti con pregiudicati» e per aver consentito a uno di loro – coinvolto nella citata rapina – di svolgere «attività lavorativa presso il proprio esercizio commerciale» mentre si trovava agli arresti domiciliari.
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