L’attimo prima in scena alla Sala Futura Frammenti di incontri che disorientano

«La notte Santa, nel mio paese, si va in chiesa. Una volta entrati c’è una tela enorme che dall’alto verso il basso copre tutto l’altare. Un’enorme tela del pittore Zenone Lavagna (che sinceramente non so chi sia) blu notte, nella quale è raffigurata la crocifissione di Gesù, e c’è Maria e Maddalena che piangono ai suoi piedi. Il prete dice la messa e la tela rimane per tutto il tempo lì, sospesa e tirata. A un certo punto si sente il prete cantare: “Gloria a Dio, nell’alto dei cieli!” L’organo comincia a suonare, na na na na naaaaa, e la tela, patapum, cade a terra. Dall’altra parte c’è la statua di Gesù risorto, ma la cosa che più mi fa venire i brividi e che ancora non riesco a spiegare è l’attimo prima che la tela cada. L’attimo prima, capite?»

Inizia così L’attimo prima, spettacolo di e con Salvo Drago in scena alla Sala Futura di Catania, con Giuseppe Aceto come assistente alla regia. Sul palco di via Macallè l’autore mette in fila diversi episodi della propria esistenza e, in un continuo flusso di coscienza, li racconta al pubblico. La già citata caduta della tela, l’incontro con lo scemo del paese, l’acquisto di frutta e verdura dal venditore ambulante, l’avvento della calvizie (fatto spesso traumatico per gli uomini, ma non per il nostro autore), la notte alla casa al mare, il primo amore, le confidenze con la mamma e con la nonna. Eventi in cui Salvo Drago interpreta se stesso ma anche gli altri personaggi incontrati lungo un viaggio in cui italiano e siciliano, prosa e poesia, tempi lenti e veloci si mescolano insieme su un palcoscenico nudo e scarno che dà al pubblico l’impressione di stare assistendo a una prova.

Numerosi gli interrogativi che nascono durante lo spettacolo e resistono anche dopo la chiusura, anzi la caduta – come l’ormai conosciuta tela – del sipario. Domande che però hanno più a che fare con lo smarrimento: a causa di un poco chiaro fil rouge che lega i vari episodi raccontati e da diversi attimi prima dei momenti narrati poco riconoscibili e percepibili. Ed è un vero peccato. Perché rischia di disperdere tra il pubblico il grande coinvolgimento emotivo e fisico dell’attore che non si risparmia e, soprattutto, non si ferma per tutta la durata dello spettacolo.

Che questa sensazione di non venirne davvero a capo sia voluta? Lasciare tutto sospeso a metà, disorientare lo spettatore per permettergli di perdersi e trovare da solo il proprio attimo prima? Speriamo di sì. Perché perdersi può essere affascinante, ma ritrovarsi e vivere nel presente lasciando l’attimo prima lì, dove è giusto che sia, lo è ancora di più.

Alessia Sapienza

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