L’attentato ad Antoci dopo i terreni tolti alla mafia Sindaco di Troina: «Da giorni notavamo stranezze»

«Già dalla settimana passata sentivamo gli occhi puntati». Poche ore dopo l’attentato a Giuseppe Antoci – il presidente del Parco dei Nebrodi contro la cui auto due malviventi, la notte scorsa, hanno aperto il fuoco – a parlare è il sindaco di Troina Fabio Venezia. Insieme ad Antoci, il primo cittadino è da mesi oggetto delle minacce della mafia locale. Un’escalation che ha portato il comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica ad assegnargli una scorta. Così come ad Antoci. Ed è stato proprio l’intervento di un poliziotto, che ha risposto agli spari, a mettere in fuga gli assalitori lungo la strada che collega San Fratello a Cesarò.

Stando alla ricostruzione fatta dallo stesso presidente dell’ente, l’auto blindata su cui viaggiava insieme alla scorta è stata costretta a fermarsi, dopo aver trovato in mezzo alla strada diverse pietre. Poco dopo, sono iniziati gli spari. I proiettili si sono fermati nella carrozzeria. Fondamentale, poi, l’intervento della polizia di Sant’Agata di Militello che si trovava dietro all’auto di Antoci e ha messo in fuga i malviventi.

Proprio mentre si trovava in quest’ultimo Comune, una settimana fa Venezia ha percepito qualcosa di strano nell’aria. «Ci siamo riuniti per fare il punto della situazione riguardo alla sottrazione dei terreni alle cosche – racconta il primo cittadino troinese – e abbiamo notato movimenti strani. Auto che passavano, a più riprese, davanti al luogo in cui ci trovavamo». Immaginare tuttavia un vero attentato, con tanto di utilizzo di armi di grosso calibro, non era scontato. «C’è molta preoccupazione, perché sono stati toccati interessi economici ingenti», ammette Venezia.

Il riferimento va alla decisione del Tar Sicilia di rigettare il ricorso presentato da diversi imprenditori, considerati vicini alla mafia locale. Aziende che operavano su terreni appartenenti al Comune, senza averne il diritto né le necessarie certificazioni antimafia. E verso le quali si è proceduto con la revoca delle concessioni. «Si parla di 4.200 ettari di bosco, per affari di oltre un milione e mezzo di euro l’anno legati ai fondi europei – spiega Venezia -. Queste società agivano senza avere mai partecipato a una gara e, quando queste sono state indette, sono emersi i problemi, con le interdittive della prefettura. È saltato il sistema».

L’agguato ad Antoci ha fatto scattare di riflesso un innalzamento della cautela anche per il sindaco di Troina. «Ho parlato con le forze dell’ordine e il magistrato della Dda – aggiunge -. Per il momento ci è stato detto di ridurre al minimo gli spostamenti, la tensione è alta». Nessuna comunicazione con il presidente del Parco dopo l’attentato. «Non sono ancora riuscito a parlargli. Sarà provato», conclude Venezia. A commentare l’episodio è anche la politica. A partire dal presidente della Regione, Rosario Crocetta. «Il vile attentato si lega alla battaglia che insieme stiamo facendo contro la mafia dei pascoli e all’azione di moralizzazione che stiamo portando avanti, che ha già portato a diversi arresti sul territorio», dice il governatore.

La storia delle minacce inizia a fine 2014. A dicembre di quell’anno, infatti, una lettera viene recapitata negli uffici del Parco, con un messaggio inequivocabile: «Ne avete per poco tu e Crocetta. Morirete scannati». Sei mesi dopo, una molotov è inviata nella sede distaccata di Cesarò. «Ve ne dovete andare», l’invito ad Antoci e a quanti hanno avuto un ruolo nella firma del protocollo di legalità che l’ente ha siglato con la prefettura di Messina. Con l’obiettivo dichiarato di mettere un freno nelle attività delle cosche. Dalle parole scritte, poi, si passa ai proiettili. Prima inviati come intimidazione, adesso sparati per uccidere.

Simone Olivelli

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