L’assessore Bonafede guadagna poco? La verità è che è sbagliata tutta la legge del 2001

LA RIFORMA CHE HA INTRODOTTO L’ELEZIONE DIRETTA DEL PRESIDENTE DELLA REGIONE HA FATTO SOLO DANNI. AL RESTO HANNO PENSATO L’ARS E IL COMMISSARIO DELLO STATO CONSENTENDO AGLI ASSESSORI ESTERNI DI GUADAGNARE CIFRE FUORI LUOGO.

Ha ragione, in fondo, l’assessore regionale alla Famiglia, alle Politiche sociali e al Lavoro, Ester Bonafede, ad affermare che guadagna poco. Che volete che siano cinquemila e 400 euro al mese per un assessore regionale?

Quello che l’assessore non dice è che oggi, se non fosse per l’ufficio del Commissario dello Stato – ufficio tanto vituperato di questi tempi – lei guadagnerebbe molto meno.

La storia degli emolumenti degli assessori regionali “esterni” all’Assemblea regionale siciliana(Ars) è interessante. Ed è soprattutto indicativa di un malcostume reiterato della politica della nostra Isola.

La storia, se così si può dire, inizia quando, nel 2011, Totò Cuffaro, appena eletto presidente della Regione, nomina assessore regionale Bartolo Pellegrino. Pur essendo stato un protagonista della legislatura 1996/2001 dell’Ars, Pellegrino si ritrova fuori da Sala d’Ercole. Ma siccome è il leader di un movimento politico che ha partecipato attivamente all’elezione di Cuffaro alla presidenza della Regione – Nuova Sicilia – deve essere nominato assessore. E così è.

Appena nominato assessore, Bartolo Pellegrino si accorge che il suo emolumento non supera i quattro milioni di vecchie lire! Cominciano le lamentele dello stesso Pellegrino. E cominciano i pellegrinaggi – è il caso di dirlo – dello stesso Pellegrino verso i capigruppo e deputati dell’Assemblea regionale siciliana dell’epoca. Cosa vuole Bartolo? Una bella legge per equiparare l’indennità di un assessore regionale – deputato – con quella di un assessore esterno all’Ars. La differenza non era da poco, considerato che all’epoca un assessore si portava a casa ogni mese oltre venti milioni di vecchie lire.

In Assemblea, però, la richiesta di Bartolo Pellegrino non fa breccia. Maggioranza e opposizione nicchiano. Così a Bartolo Pellegrino non resta che andare a parlare con il presidente Cuffaro.

“Cam’amu ‘a fari?”

Totò Cuffaro, che alla fine era un pacioccone leva-vite, risponde: “Bartolo va travagghia ca ci pensu iu”.

Così Cuffaro si chiama gli alti burocrati di Palazzo d’Orleans dell’epoca e gli dice: “Preparatemi una delibera di giunta per equiparare l’indennità di Pellegrino con quella degli altri assessori”.

Qualche alto burocrate fa notare a Totò, che, forse, per un provvedimento così importante ci vorrebbe una legge dell’Ars. Risposta di Cuffaro: “lo so. Noi prima facciamo la delibera e poi gli facciamo fare la legge”.

La delibera venne fatta a tamburo battente e approvata dalla giunta sempre a tamburo battente. Quanto alla legge, il tamburo si sarà sicuramente rotto, perché questo benedetto si dell’Ars all’equiparazione delle indennità degli assessori esterni con quelle degli assessori deputati non è mai arrivato.

Per una decina d’anni si va avanti in una condizione di illegittimità totale.

Nel 2008, a palazzo d’Orleans, arriva Raffaele Lombardo. Che tra i tanti vezzi, oltre a quello di cambiare continuamente Giunta, ha anche quello di mettere nel governo tanti assessori esterni a Sala d’Ercole.

Ora, fino a quando era un assessore o due assessori esterni, la cosa veniva lasciata passare.

Nel 2011, in sede di approvazione della legge finanziaria, gli uffici del Commissario dello Stato fanno sapere che la situazione di illegittimità retributiva degli assessori esterni al parlamento siciliano, è diventata insopportabile. Il danno è notevole. Perché una delibera di giunta non si può sostituire ad una legge. Morale: tutti gli assessore regionali esterni all’Ars che si sono succeduti dal 2001 al 2011 dovranno restituire il 70 per cento ed oltre dell’indennità mensile che hanno percepito nel corso degli anni. E per il futuro non potranno percepire più di tre mila e 500, quattro mila euro al mese.

A questo punto la giunta Lombardo va in tilt. Anche perché gli assessori sono quasi tutti “tecnici” cioè esterni all’Ars. In fretta e furia viene inserito un articolo in finanziaria che sane tutto il pregresso – e parliamo di tanti soldi! – che consente per il futuro agli assessori di continuare a percepire circa tredici mila euro al mese (a differenza dei deputati regionali che, tra indennità parlamentare ammennicoli vari, arrivano a circa diciotto mila euro al mese).

Ci si sarebbe aspettati, da parte dell’Ufficio del Commissario dello Stato, l’impugnativa di una norma rigorosamente illogica oltre che illegittima. Invece, la finanziaria regionale del 2011, pur subendo una mega impugnativa di circa ottanta norme, salva proprio l’articolo che sana il pregresso intascato dagli assessori tecnici e gli consente, contemporaneamente, di continuare a mettersi in tasca una ricca indennità mensile. Come si può notare, non è vero che l’ufficio del Commissario dello Stato è così “monello”, come si dice. Alla fine anche l’ufficio del Commissario dello Stato, quando vuole, ha il cuore tenero.

Andiamo ai nostri giorni. Che è successo? Semplice: che l’Ars ha dimezzato l’indennità degli assessori, fingendo di dimezzare anche l’indennità dei parlamentari. Infatti, conti alla mano, i novanta “califfi” dell’Ars, sì e no, hanno perso, in busta paga, non più di trecento euro mensili. Mentre gli assessori regionali esterni all’Ars si debbono accontentare, come ha detto l’assessore Ester Bonafede, di cinque mila e 400 euro al mese.

Volendo si tratta di una somma maggiore di mille e 500, mille, mille e 800 euro rispetto a quella prevista dalla legge abusivamente emendata dalla delibera di giunta poi sanata. Quello che l’assessore Bonafede non sa, però, e che la vecchia legge. contestata nel 2001 da Pellegrino aveva ed ha ancora oggi una propria ratio. La ratio è rappresentata dal fatto che il legislatore ha voluto privilegiare la nomina di assessori all’interno dell’Assemblea regionale siciliana. E per un motivo semplice: perché chi amministra una regione importante come la Sicilia – anche se nel ruolo di assessore – è bene che abbia alle spalle il consenso popolare: proprio quello che l’assessore Bonafede e i suoi 11 colleghi di giunta non hanno. Questo perché fare l’assessore regionale significa, in primo luogo, essersi confrontati con l’elettorato ed averlo convinto: così convinto da essere risultati eletti all’Ars. Chi non ha alle spalle il consenso popolare a che titolo va a svolgere il ruolo di assessore?

La verità è che la legge del 2001, che ha introdotto l’elezione diretta del presidente della Regione, non ha affrontato in modo compiuto questo ed altri argomenti di carattere istituzionale. Ricordiamo a chi lo avesse già dimenticato che prima di questa errata legge del 2001 gli assessori regionali venivano eletti dall’Assemblea regionale siciliana ad uno ad uno. E se venivano sfiduciati dalla stessa Ars erano costretti a dimettersi. C’era uno strumento di controllo importante del potere legislativo sul potere esecutivo a prescindere dalla volontà del presidente della Regione. Oggi, grazie a questa legge che ha introdotto l’elezione diretta del presidente della Regione, il potere legislativo è stato privato anche di questa prerogativa. E l’abbiamo visto nella passata legislatura quando un assessore regionale è stato sfiduciato dal parlamento siciliano ed è rimasto in carico nonostante il voto di sfiducia. Tutto questo la dice lunga non soltanto sul caso dell’assessore Bonafede ma di tutta “l’architettura” istituzionale di un parlamento siciliano che ha eletto un presidente con appena l’undici per cento dei consensi e privo di maggioranza in Aula, determinando una condizione di ingovernabilità che è sotto gli occhi di tutti. Se a questo aggiungiamo l’assessore Bonafede che denuncia la propria indennità bassa, o gli altri assessori che in buona parte dipendono dalla presidenza della Regione o da vari potentati esterni all’Ars, ci si rende conto della grande “frittata” istituzionale combinata dal legislatore siciliano nel 2001.

Giuseppe Messina

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