L’arsenale alla Playa era nel terreno di un avvocato I sospetti sul clan Cappello e le undici telecamere

A pochi metri dalla spiaggia, a ridosso dello spiazzo dove gli appassionati di windsurf parcheggiano l’auto, prima di scavalcare la transenna e usufruire dei locali messi a disposizione, anche durante la stagione invernale, dal lido Le Capannine. È qui che, quasi due mesi fa, i militari del Gico di Catania hanno trovato un arsenale. Le armi – pistole, fucili, mitragliatori – erano in due bidoni interrati a due metri di profondità. Protette, una per una, da buste di plastica. Ma che storia nasconde questo ritrovamento? Chi le ha nascoste e perché ha scelto un terreno esposto, specialmente in estate, a centinaia di occhi indiscreti?

Queste sono solo alcune delle domande a cui gli investigatori stanno cercando di dare una risposta. E qualche passo avanti sarebbero già stato fatto. Stando a quanto risulta a MeridioNews, l’attenzione della procura etnea sarebbe concentrata su una precisa cosca: per quanto si tratti ancora di ipotesi, lo sguardo degli inquirenti sarebbe rivolto ai Cappello. Il clan retto da Massimiliano Salvo, attualmente in carcere. A fare riferimento a un gruppo di fuoco a disposizione del capomafia – che dal 2017 è al 41bis e che, di recente, nell’ambito del processo Penelope ha dichiarato di volersi dissociare dal clan – sarebbe stato un collaboratore di giustizia. Dichiarazioni che hanno arricchito i verbali custoditi dalla Dda di Catania.

Ma se tra i corridoi di piazza Verga il riserbo è massimo, altri pezzi del puzzle sono già chiari. A partire dalle caratteristiche del luogo. Il terreno si trova alla fine di una stradella privata, a cui si accede da un cancello, sempre aperto, che si affaccia su via San Francesco la Rena. Poche centinaia di metri asfaltati con a destra campi e a sinistra alcune residenze. Diversi i cartelli che indicano la videosorveglianza dell’area. Quella delle telecamere è un particolare che salta subito all’occhio: lungo la staccionata che delimita la scuola di windsurf sono diverse quelle installate. Undici, se si considerano quelle che danno sul parcheggio. Più di una, inoltre, sembra avere un campo visivo in cui ricade anche il punto in cui sono state interrate le armi.

Stando a quanto accertato da questa testata, il terreno, su cui sono rimaste le tracce del mezzo meccanico utilizzato dai militari per scavare, è di proprietà della famiglia di un noto avvocato etneo. Il legale ha preso parte al sopralluogo. «È di proprietà di mia madre, ma da moltissimi anni è abbandonato. Non ci venivo da decenni – racconta il professionista contattato da MeridioNews – Quando sono arrivato qui non avevo idea di cosa cercassero, ma come è normale che sia ho dato tutta la mia disponibilità». Inevitabile lo stupore nello scoprire cosa ci fosse all’interno dei bidoni. «Chiaramente non mi aspettavo nulla di simile», sottolinea. In passato il terreno è stato al centro di un contenzioso sfociato anche in procedimenti giudiziari. «Tra i motivi c’è stato anche la rimozione della rete che, un tempo, delimitava il perimetro dell’area», conclude.

Tornando alle indagini, spunti interessanti potrebbero arrivare dai risultati degli esami balistici. I periti stanno effettuando i test per capire se le armi, che sarebbero state nascoste da non più di due anni e che erano pronte per essere utilizzate, in passato abbiano già sparato. Un’ipotesi che, almeno in alcuni casi, avrebbe già trovato conferma.

Dario De Luca

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