L’altra partita, gli ultras fuori dallo stadio Fischi sui gol. «La Nord non si vende»

La gioia della vittoria contro la Roma non travalica i muri dello stadio Massimino. Lì, in piazza Spedini, sono rimasti gli ultras della curva Nord. Sono circa 200 ad aver aderito allo sciopero del tifo, annunciato già in settimana con una lettera. Coerenti con il loro slogan: rispetto solo per la maglia. «Questa curva non si vende». Il riferimento è ai prezzi popolari lanciati dalla società: 5 euro il biglietto per assistere al match. Mossa riuscita: lo stadio si riempie. Ma loro non ci stanno. «Ci hanno solo occupato la curva, gente che viene a fare la scampagnata». Sono lì per ribadire che il calcio Catania sono loro. Una contestazione pacifica che stavolta include tutti: società, presidente e squadra. Solo qualche attimo di tensione a cinque minuti dal fischio finale, quando gli ultras provano ad entrare oltre i recinti e la polizia si schiera prontamente in assetto antisommossa. «State tranquilli, se volevamo farvi la guerra ve l’avremmo già fatta», li rassicura uno dei leader della curva, invitando gli altri a uscire dai cancelli.

Nel primo pomeriggio la tensione è palpabile: c’è un massiccio dispiegamento di forze dell’ordine nelle strade del quartiere Cibali, compreso un aereo della polizia che sorvola la zona. Dopo i fatti di ieri attorno allo stadio Olimpico di Roma, alcune radio parlano di un gruppo di ultras in arrivo da Napoli per vendicarsi dei romanisti. «Non ci risulta che siano arrivati napoletani in città per la partita – smentiscono dalla polizia – Anzi, quanto successo ieri è servito per bloccare la partenza dei romanisti». L’appuntamento è fuori dagli ingressi della curva Nord. Arrivano alla spicciolata, mentre il grosso del pubblico sfila davanti a loro ed entra regolarmente. «Passano indifferenti, vengono a fare la sfilata», commentano gli ultras. Che cominciano ad urlare le loro ragioni in faccia ai tifosi che si soffermano ai controlli. Stavolta, a differenza della manifestazione dell’orgoglio rossazzurro di qualche settimana fa in piazza Università, l’oggetto della contestazione è chiaro. «Società pezzente», è il coro ricorrente. Insieme a quelli che giurano fedeltà eterna alla maglia: in serie A o in B. I giornalisti non sono graditi e un operatore della Rai viene mandato via. «Giornalista terrorista tu sei il primo della lista», gli urlano dietro.

Quando la partita inizia, qualcuno non resiste e si sposta in un centro scommesse vicino per seguire l’andamento del match. Ma la maggior parte resta sulla strada a presidiare: gli aggiornamenti arrivano dai boati del pubblico dentro lo stadio e dal tabellone luminoso visibile dall’esterno. «Il Livorno perde, buono». Un briciolo di speranza resiste. Ma al primo gol di Izco, i fischi si alzano assordanti. Soprattutto nei confronti di quei tifosi che, da dentro lo stadio, dalle gradinate più alte della loro curva, esultano con ampi gesti proprio nei confronti degli ultras rimasti fuori. Quasi una sfida, rintuzzata da insulti e fischi. La scena si ripete anche sulle altre marcature.

Al minuto 85, il gruppo si sposta rapidamente verso il cancello socchiuso. Un movimento rapido e una decina di tifosi sono all’interno della zona di prefiltraggio. La polizia fa scudo, anche perché gli spettatori stanno cominciando a defluire da dentro lo stadio. Vola qualche bottiglia e l’aria si fa tesa. Ma dura pochi minuti, i capi ultras parlano con i dirigenti delle forze dell’ordine e con gli agenti schierati. La sensazione è di un’azione dimostrativa. I capi invitano i più esagitati a farsi da parte. Il deflusso avviene senza problemi. Gli irriducibili della Nord percorrono via Cantone in discesa e si schierano di fronte al chiosco. Il pubblico in uscita passa in mezzo al cordone, tra una pioggia di applausi. Amari e ironici.

Salvo Catalano

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