Acqua destinata all’uso pubblico ma che veniva sottratta dalla condotta San Leonardo del consorzio di Bonifica Palermo 2 ma anche mascherine per proteggersi dal Covid-19 rubate dai magazzini dell’ospedale e rivendute in nero tra i vicoli del rione Ballarò. Sono solo due degli affari più curiosi riconducibili al mandamento mafioso palermitano di Brancaccio–Ciaculli, finito ieri al centro di un’inchiesta con 31 persone arrestate. Il business dei dispositivi di protezione sarebbe stato tuttavia «un caso isolato», si legge nell’ordinanza firmata dal giudice per le indagini preliminari Lirio Conti. Una sorta di occasione che avrebbe colto al balzo Pietro Paolo Garofalo. L’uomo, accusato anche di essere un trafficante di stupefacenti, ufficialmente appartiene agli ex Pip, acronimo con cui vengono identificati coloro che facevano parte dei Piani di inserimento professionale. Garofalo si sarebbe mosso a suo agio sfruttando l’inserimento nel bacino emergenza Palermo all’interno dell’ospedale Civico. Proprio il nosocomio, stando alla ricostruzione degli inquirenti, era il cuore dei suoi affari. All’interno di un magazzino della struttura, per esempio, il 16 dicembre 2020 gli agenti recuperano 50 chilogrammi di hashish.
La trama di questa storia passa anche per guadagni meno redditizi come il furto di venti scatoloni con dentro 16mila mascherine Ffp3. A «mangiare» con la rivendita a 500 euro a scatola non doveva essere il solo Garofalo ma anche due colleghi, pure loro ex Pip, operativi all’interno dell’ospedale. «Ieri abbiamo scaricato tutto il camion con le mascherine», diceva Giuseppe Castelli a Garofalo. «Assai sono?», chiedeva Garofalo, «minchia, sono un bordello», continuava il presunto complice specificando che avrebbero dovuto avvertire anche «Tanuzzo». Una triangolazione d’intenti che però non doveva dare troppo nell’occhio: «Non li dobbiamo uscire con lo scatolo ma con il sacco nero», si legge in un’altra intercettazione riportata nelle carte dell’inchiesta.
Le mascherine trafugate avrebbero sostato temporaneamente in un magazzino nella disponibilità degli operai salvo poi essere messe in vendita, al prezzo di 0,50 centesimi a pezzo, nel mercato nero palermitano. L’incaricato individuato dal gruppo era un abusivo a Ballarò, già noto per lo smercio di tabacchi e cocaina. Alla lista degli affari del mandamento mafioso si aggiunge anche l’approvvigionamento dell’acqua per l’utilizzo irriguo. «Un totale controllo delle aree rurali», si legge nell’ordinanza, per le forniture nei terreni dell’area di Villabate e della borgata Croceverde-Giardini. Il flusso dell’acqua sarebbe stato regolato intervenendo nelle condutture del consorzio di bonifica San Leonardo, stimando un prezzo variabile per gli utenti finali che andava da 13,50 a 15 euro per ogni ora di erogazione.
«Io te la posso dare sempre l’acqua», diceva a un uomo l’indagato Emanuele Prestifilippo. L’uomo è considerato dagli inquirenti inserito nella famiglia mafiosa di Ciaculli, specializzato non solo nella gestione delle conduttore ma anche nella guardiania e nella sensaleria. Una mafia feudale in cui il territorio si controlla avendo a disposizione i lucchetti d’accesso dei cancelli interpoderali e la punizione riservata a chi sbaglia è il taglio degli alberi. «Appena c’erano terreni in vendita nella loro zona – racconta ai magistrati il collaboratore di giustizia Filippo Bisconti – facevano di tutto per interessarsi alla compravendita. Per reperire la mediazione». Episodio curioso che riguarda Prestifilippo è quello legato al recupero da parte dei carabinieri di un pizzino consegnatogli all’interno di un container parcheggiato in un autolavaggio.
L’uomo viene osservato dai militari poco dopo, quando entra in macchina e strappa il messaggio. Qualche istante e mentre percorre via Conte Federico getta tutto dal finestrino. I carabinieri però recuperano i pezzetti di carta, compongono il testo e decodificano tutto. Con il messaggio, che sarebbe stato scritto da Andrea Seidita indicato come inserito nel mandato di Ciaculli con una specializzazione nel settore delle scommesse, si invitava Prestifilippo a contattare un ragazzo per la vendita di un magazzino. «Si assiste alla classica veicolazione di un messaggio tra uomini d’onore attraverso il pizzino, ritenuto metodo sicuro di comunicazione, perché non intercettabile». Quella volta però è andata male.
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