Lo spettacolare passaggio delle Geminidi ha salutato un 2009 eletto “Anno Internazionale dell’Astronomia”. Ma per un anno che se ne va, ci sono domande che restano: “Com’è nata e si è evoluta la vita sul nostro pianeta? Ne esistono forme in altri luoghi dell’universo? Qual è il suo futuro sulla terra e altrove?”. Lo ha spiegato il professore Giovanni Strazzulla, direttore dell’osservatorio astrofisico di Catania, durante il convegno Le comete e l’origine della vita, il 15 dicembre al Palazzo della Cultura. Un incontro la cui tematica affascina e divide persone comuni, scienziati, credenti e non: l’origine della vita e, in particolare, la sua relazione con il passaggio delle comete.
Strazzulla ha spiegato anche per un pubblico di non esperti come la caduta di oggetti meteorici sulla terra abbia avuto un ruolo decisivo per lo sviluppo della vita. Questi avrebbero apportato sostanze organiche indispensabili, che sul nostro pianeta ancora giovane non si sarebbero altrimenti formate. Dopo un’introduzione descrittiva sulle comete, si è passati all’argomento centrale dell’incontro: l’astrobiologia. Una scienza recente, nata nel 1953 per rispondere proprio a queste domande, esistenziali ma soprattutto scientifiche.
Il mistero dal quale gli scienziati sono partiti riguarda l’origine dell’acqua, assente sulla terra primitiva. “Questo non vuol dire che le comete abbiano portato la vita, nonostante molti studiosi lo sostengano; – spiega il professore – ma tutto lascia pensare che abbiano avuto un ruolo fondamentale nel trasporto di materiali utili al suo compimento ”. Molti gli esperimenti in laboratorio e le missioni in orbita che danno credito a queste teorie, tra cui la “Missione Stardust”, che prevede la raccolta con un satellite del materiale che compone la coda di una cometa e la sua successiva analisi. E se succedesse anche al contrario? “Qualcuno pensa che stiamo compiendo la stessa operazione inviando satelliti su Marte, – ha ammesso Strazzulla – nel senso che potremmo aver contaminato il pianeta con batteri ed elementi chimici che non erano presenti nel luogo. Si è parlato persino di Protezione Planetaria”.
Ma durante l’incontro c’è spazio anche per discutere dell’importanza della ricerca e dell’insegnamento, partendo con una critica costruttiva: “I professori tendono a trasmettere ai loro studenti il conosciuto, il già noto; – commenta il direttore dell’osservatorio – ma questa impostazione, che fornisce le basi su cui crescere, può andare bene al liceo, non all’università”. E’ quindi fondamentale il ruolo della ricerca, per spingersi verso ciò che è inesplorato e “apportare un ulteriore mattoncino alla conoscenza”.
L’abbondanza di domande dal pubblico conferma il fascino dell’argomento. A chi chiede se ci siano motivazioni serie, a livello scientifico, per pensare che esista la vita in altre parti dell’universo, il professore risponde: “ Sicuramente è una cosa legittima da pensare. Ma la risposta più legittima è ‘non lo so’ perché non si può asserire una cosa del genere senza avere mai avuto, prima d’ora, esempi di come è nata la vita sulla terra stessa”. E sul rapporto tra scienza e fede Strazzulla non si trattiene: “Non esiste una contrapposizione tra le due, trattandosi di due ambiti diversi. Piuttosto c’è tra gerarchie ecclesiastiche e scienza. E’ facile per la Chiesa scusarsi 400 anni dopo per Galileo, ma la situazione oggi non è cambiata”. Il professore si riferisce alle polemiche suscitate dagli studi sulle cellule staminali e ipotizza ironicamente che“tra 400 anni ci sarà qualche altro esponente della Chiesa pronto a scusarsi per aver impedito il progresso scientifico”. Ma una via di mezzo esiste, e con questa conclude: “La fede è un altro discorso. Si può averla ed essere uomini di scienza, come i moltissimi scienziati credenti.”
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