La vita a Librino cinque mesi dopo la visita di Mattarella Dall’inferno delle case popolari alla speranza degli orti

La città nella città pulita e sicura: Librino. Palcoscenico, per la prima volta nella storia, della visita ufficiale di un Presidente della Repubblica. Un grande ospedale, il San Marco, prossimo all’inaugurazione, gli orti urbani da assegnare e un viale dedicato a Carlo Azeglio Ciampi. Cinque mesi dopo, di quel ventoso pomeriggio di gennaio, restano ricordi e qualche briciola. Il quartiere fa i conti con la sua triste e consolidata quotidianità. Le vedette della mafia sono sempre ai loro posti. I palazzoni cadono letteralmente a pezzi, inghiottiti da una degrado storico. Lungo i viali, compreso quello dedicato a Ciampi, è un susseguirsi di cumuli di spazzatura. Quando qui era arrivato il presidente Sergio Mattarella tutto era stato messo in ordine. Una mobilitazione di forze straordinaria ma rimasta soltanto un ricordo. Sotto l’effige dedicata a Ciampi c’è un manifesto del cantante neomelodico Niko Pandetta. Appiccicato per sponsorizzare l’evento di un candidato al consiglio comunale. Perché a Librino, come nel resto di Catania, da poco si è anche votato.

Poco distante dalla fatiscente rotonda, cinque mesi fa palcoscenico per Mattarella, c’è il complesso residenziale del viale Moncada 16. Palazzi vecchi di 30 anni trasformati in un enorme ghetto. Soltanto dentro questo complesso ci vivono 240 famiglie. Un vero e proprio girone dell’inferno delle periferie che comincia dall’area riservata ai motori per l’acqua. Uno stanzone al piano terra, accessibile attraverso una saracinesca divelta, in cui non si riescono a contare le perdite. Dei sei motori ne sono rimasti soltanto due: uno per i piani alti e uno per quelli bassi. «Qua possiamo morire folgorati da un momento all’altro», spiega un abitante. Sopra la sua testa i cornicioni sono scheletri di ferro in cui il cemento si è completamente sfaldato. «Questo è il vero terzo mondo. Tutti i tubi che passano nel palazzo sono sfondati», continua la nostra guida. 

La situazione non migliora nemmeno quando si passa agli ascensori. Perché per salire in alto non esiste alternativa alle scale. I montacarichi sono tutti rotti: «Da almeno 15 anni», racconta un signore. «Salgo la spesa a casa poco alla volta. Anche se ultimamente compriamo meno cose perché io e mia moglie siamo anziani». Nella fossa, alla fine del vano corsa, alcuni abitanti buttano la spazzatura, materassi compresi. A ridosso di questa zona ci sono degli stanzoni al buio con le fogne a cielo aperto in cui sguazzano i topi. Gli animali, stando al racconto dei residenti, hanno invaso ormai tutti i palazzi dopo l’inizio dei lavori di un nuovo complesso residenziale poco distante. «Questo è un quartiere che si regge soltanto sull’orgoglio e sulla forza dei singoli cittadini e di alcune associazioni». A parlare è Dario Gulisano, della sezione etnea di Sunia, sindacato nato per tutelare i diritti di assegnatari e inquilini. «Si cerca di colmare un vuoto lasciato colpevolmente libero dalla politica», continua. La sfida però non è semplice. 

Non distante da questa zona del quartiere ci sono i nuovi orti urbani. Anche questi inaugurati durante la visita di Mattarella e assegnati dal Comune di Catania ai residenti. Sono situati sopra una collina in cui svettano il palazzo di cemento, simbolo del degrado che si sta cercando di recuperare, e l’edificio di fronte – al viale San Teodoro –  cuore di una delle piazze si spaccio che ci sono da queste parti. In mezzo ad alcuni lotti abbandonati in tanti però sembrano avere accolto con piacere la novità. «È una bella cosa per il quartiere. Noi coltiviamo pomodori, peperoni, melanzane e zucchine», raccontano Francesco e Ivan. Ogni giorno impegnati a curare le piante e a controllarle da possibile visite indesiderate. La speranza è soltanto una: «Che tutto duri». 

Dario De Luca

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