La vicenda pirandelliana del Parco dei Monti Sicani Il pasticcio della Regione bocciato tre volte dal Tar

Le gole scavate dal fiume Sosio, il teatro di pietra di Andromeda, i boschi incontaminati, la Magna via francigena e il cammino di Santa Rosalia. E poi i prodotti d’eccellenza dell’enogastronomia locale e alcuni rapaci, come il capovaccaio, che solo qui si fanno vedere. C’è un pezzo di Sicilia, tra le province di Agrigento e Palermo, lontana dai circuiti turistici tradizionali ma dalle fortissime potenzialità ancora inesplorate. Dodici Comuni spalmati tra il mare a 1.500 metri di quota, e riuniti da qualche anno nel Parco dei monti Sicani. Un brand che comincia lentamente a farsi strada nel panorama regionale e nazionale e che anche gli operatori commerciali iniziano ad apprezzare, consapevoli delle potenzialità economiche. Eppure tutto rischia di andare letteralmente in fumo. Il 13 giugno il Tar di Palermo ha infatti annullato il decreto istitutivo dell’ente. Per la terza volta negli ultimi otto anni. E sempre per le stesse motivazioni: una perimetrazione fatta male dalla Regione, senza tenere in debito conto gli interessi di alcune attività produttive che hanno fatto ricorso, e senza il necessario coinvolgimento degli enti locali e dell’Assemblea regionale. «Un cortocircuito prevedibile – commenta amaro il sindaco di Santo Stefano di Quisquina, Francesco Cacciatore – visto che la Regione si ostina a fare un copia incolla di un’impostazione già bocciata dal Tar per due volte». 

«Il parco in sostanza al momento non esiste più», si sussurra tra gli addetti ai lavori. E già si vedono i primi effetti concreti. Ieri dal dipartimento regionale al Territorio è partita una nota in cui si sottolinea che, in attesa di capire come l’assessorato voglia rispondere all’ennesima bocciatura del tribunale amministrativo, è opportuno fermare qualunque attività dell’ente.

Non sono bastati tre decreti istitutivi – i primi due sotto il governo Lombardo e il terzo nel 2014 sotto Crocetta – per definire limiti e funzionalità del parco. Nel 2010 alcuni privati proprietari di cave di estrazione di inerti si rivolgono al Tar, denunciando l’impossibilità di continuare la loro attività rimanendo dentro i confini del parco. E il Tribunale amministrativo gli dà ragione. Corre l’anno 2011. L’assessorato al Territorio ci riprova un anno dopo, ma questa volta dimentica di sentire il parere, vincolante per legge, della commissione Ambiente dell’Ars. Motivo valido perché il Tar, nuovamente sollecitato dai privati, annulli il decreto. Nel 2014 ecco il terzo tentativo. Ma anche questa volta lo stop, arrivato pochi giorni fa. Secondo i giudici sono due i motivi per cui l’amministrazione regionale ha sbagliato di nuovo: da una parte ha fatto leva su una legge regionale nel frattempo dichiarata incostituzionale, e dall’altra ha sì chiesto stavolta il parere dell’Ars, per poi però prendere una direzione opposta a quella indicata dai deputati. «Contrariamente a quanto richiesto (dalla commissione dell’Ars ndr) – scrive infatti il Tar – il decreto istitutivo del Parco non appare tener in opportuna considerazione la posizione delle attività produttive già presenti all’interno dell’area delimitata che vengono quindi travolte dalla perimetrazione e relativa zonizzazione».

«Siamo la terra di Pirandello – dice il sindaco Cacciatore – Noi non abbiamo i Templi, siamo un territorio periferico che ha deciso di scommettere su due segmenti turistici: relazionale ed esperienziale. Abbiamo la natura, il cibo, le tradizioni religiose, il meraviglioso teatro di Andromeda. Se fatto bene, il parco sarebbe per noi volano di sviluppo. Invece una perimetrazione realizzata selvaggiamente paralizza il territorio. Ci sono attività produttive – e non penso solo alle cave, ma anche ad alcune zone seminative – che vanno lasciate fuori per non farle morire». Secondo Giuseppe Adamo, operatore turistico di Santo Stefano Quisquina, «se hai un B&b o un ristorante, o organizzi escursioni, poter dire che fai parte di un parco ha un valore eccezionale e questo si sta cominciando a capire».

Tuttavia da alcuni settori – cacciatori, imprenditori delle cave e alcuni agricoltori – il parco continua a essere visto come un ente che impone lacci e paletti e quindi osteggiato. «Certo – commenta il primo cittadino di Santo Stefano – se non si dota di un ufficio tecnico funzionale, per ogni parere ci vorranno mesi e l’ente verrà visto come un ostacolo». Il personale in effetti è totalmente insufficiente e negli ultimi mesi l’operatività dell’ufficio tecnico è stata garantita solo da due funzionari provenienti dal parco fluviale dell’Alcantara. 

Da gennaio 2018 alla guida del Parco Monti Sicani si è insediato il nuovo commissario Luca Gazzara, vicino all’assessore Toto Cordaro. Sono stati attivati diversi filoni di ricerca (sul tartufo e sui geositi ad esempio) e progetti con richiesta di finanziamenti di fondi europei: 500mila euro sono stati ottenuti per il ripristino ambientale nelle zone danneggiate dagli incendi e un altro milione e mezzo è legato ad altri progetti che potrebbero a breve sbloccarsi. Risorse che, però, rischiano di sfumare a causa dello stop del Tar. 

A dover superare l’impasse è adesso l’assessorato al Territorio. La scorsa settimana il governatore Nello Musumeci ha incontrato a Bivona i sindaci del territorio, per far capire che la Regione intende fare le prossime mosse di concerto con i Comuni. Cordaro e il dirigente generale Giuseppe Battaglia hanno due opzioni: chiedere la sospensiva della sentenza del Tar e fare ricorso al Cga, o non proseguire la battaglia giudiziaria e ricominciare da zero il lavoro sulla perimetrazione. La decisione è subordinata al parere dell’Avvocatura dello Stato, anche se i Comuni si augurano che la Regione non continui a difendere un’impostazione ampiamente bocciata. Persino per Pirandello sarebbe troppo.

Salvo Catalano

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