PER QUESTO E DIFFICILE SCONFIGGERE I MAFIOSI. PERCHE DAL 1860 SI ANNIDANO DENTRO LE ISTITUZIONI. AI PIU ALTI LIVELLI. ERA COSI GIA AI TEMPI DI GARIBALDI, DI CRISPI E DI GIOLITTI. ED E COSI ANCORA OGGI. DA QUI LE ENORMI DIFFICOLTA DEI MAGISTRATI CHE OGGI INDAGANO SULLE STRAGI DEL 1992. PERCHE VANNO A TOCCARE GLI INTERESSI DI PEZZI DELLO STATO. CIOE DI UOMINI ANCORA AL VERTICE DEL NOSTRO PAESE
Quando oggi parliamo di trattativa Stato-mafia, non possiamo non andare indietro nel tempo e riferire questo vituperato ed aborrito binomio alle origini del nostro Paese inteso nella sua accezione unitaria. In parole povere, questo sodale rapporto tra la mafia e lo Stato nasce con lUnità dItalia o, peggio ancora, con la mala unità dItalia e sin dai tempi dellinvasione garibaldina che si servì per le sue discusse e dubbie vittorie del contributo determinante della mafia in Sicilia e della camorra a Napoli.
In Sicilia, in quel lontano maggio del 1860, accorsero con i loro famosi picciotti in soccorso di Garibaldi i più autorevoli capi-mafia dellepoca come Giuseppe Coppola di Erice i fratelli SantAnna di Alcamo, i Miceli di Monreale, il famigerato Santo Mele così bene descritto da Cesare Abba, Giovanni Corrao referente delle consorterie mafiose che operavano a Palermo nel quartiere del Borgo vecchio e che poi addirittura diverrà generale garibaldino e che verrà ucciso 3 anni dopo nellagosto del 1863 nelle campagne di Brancaccio in un misterioso ed enigmatico agguato a fosche tinte mafiose.
Un apporto determinante degli uomini donore di allora che farà dire allo storico Giuseppe Carlo Marino, nel suo libro Storia della mafia, che Garibaldi senza laiuto determinante dei mafiosi in Sicilia non avrebbe potuto assolutamente fare molta strada. Come, del resto, lo stesso Garibaldi sarebbe incorso in grandi difficoltà logistiche se, quando giunto Napoli, nel settembre del 1860, non avesse avuto laiuto determinante dei camorristi che, schierandosi apertamente al suo fianco, gli assicurarono il mantenimento dellordine pubblico con i loro capi bastone Tore de Crescenzo , Michele o chiazziere e tanti altri. Aiuti determinanti e fondamentali che, a ragion veduta, piaccia o no a Giorgio Napolitano in testa e ai risorgimentalisti di maniera, ci autorizzerebbero a dire che la mafia e la camorra diedero, per loro convenienze, il proprio peculiare e detrminante contributo allUnità dItalia. Un vergognoso e riprovevole contributo puntualmente e volutamente ignorato,per amor di patria, dai libri di scuola e dalla storiografia ufficiale.
Che la mafia ebbe convenienza a schierarsi con Garibaldi ce ne dà significativa ed ampia testimonianza il mafioso italo-americano originario di Castellammare del Golfo, Giuseppe Bonanno, meglio conosciuto in gergo come Joe Bananas, che nel suo libro autobiografico Uomo donore, a cura di Sergio Lalli, a proposito della storia della sua famiglia, a pagina 35 del libro in questione, così testualmente descrive lapporto dato dalla mafia allimpresa garibaldina. Mi raccontava mio nonno che quando Garibaldi venne in Sicilia gli uomini della nostra tradizione (= mafia) si schierarono con le camicie rosse perché erano funzionali ai nostri obbiettivi e ai nostri interessi. Più esplicito di così, a proposito dellaiuto determinante dato dalla mafia a Garibaldi, il vecchio boss non poteva essere.
Con lUnità dItalia e con il determinante contributo dato allimpresa dei Mille la mafia esce dallanonimato e dallo stato embrionale cui era stata relegata nella Sicilia dellItalia pre-unitaria e si legittima a tutti gli effetti, effettuando un notevole salto di qualità. Da quel momento diverrà di fatto una macchia nera indelebile e un cancro inestirpabile nella travagliata storia della Sicilia e del nostro Paese. E di questa metamorfosi della mafia, dallItalia pre-unitaria a quella unitaria, ne era profondamente convinto Rocco Chinnici, lideatore del pool antimafia ed una delle più alte e prestigiose figure della magistratura siciliana ucciso il 29 luglio 1983 davanti la sua abitazione in un sanguinoso attentato in via Pipitone Federico, a Palermo.
Rocco Chinnici, oltre che valente magistrato in qualità di capo dellufficio istruzione del tribunale di Palermo ed ideatore come anzidetto del pool antimafia di cui allora fecero parte tra gli altri giovani magistrati come Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Giuseppe Di Lello, fu anche un profondo studioso e conoscitore del fenomeno mafioso e delle sue criminali dinamiche storiche.
Da studioso fu relatore e partecipò a numerosi convegni organizzati in materia di mafia. In uno di questi promosso a Grottaferrata il 3 luglio 1978 dal Consiglio Superiore della Magistratura così, a proposito dellevolversi della mafia in Sicilia, ebbe testualmente a pronunciarsi: Riprendendo le fila del nostro discorso prima di occuparci della mafia del periodo che va dallunificazione del Regno dItalia alla prima guerra mondiale e allavvento del fascismo, dobbiamo brevemente, ma necessariamente premettere che essa come associazione e con tale denominazione, non era mai esistita in Sicilia.
La mafia nasce e si sviluppa in Sicilia affermò Chinnici in quella occasione a conforto da quanto da noi sostenuto – non prima ma subito dopo lunificazione del Regno dItalia. Ed ancora in una successiva intervista rilasciata ad alcuni organi di stampa a proposito della mafia legittimatasi con la venuta e con laiuto determinante dato a Garibaldi e successivamente con lUnità dItalia, Rocco Chinnici ebbe a dire: La mafia è stata sempre reazione, conservazione, difesa e quindi accumulazione di risorse con la sua tragica, forsennata, crudele vocazione alla ricchezza. La mafia stessa è un modo di fare politica mediante la violenza, è fatale quindi che cerchi una complicità, un riscontro, unalleanza con la politica pura, cioè praticamente con il potere.
Ed è questo patto scellerato tra mafia, potere politico e istituzioni, tenuto a battesimo prima dallimpresa garibaldina e poi come sosteneva Rocco Chinnici dallUnità dItalia che dura, tra trattative, connivenze e papelli di ogni genere, senza soluzione di continuità sino ai nostri giorni. Una lunga sequela di tragici avvenimenti che sin dagli albori dellunità dItalia hanno insanguinato la nostra terra per iniziare con la stessa uccisione del generale Giovanni Corrao a Brancaccio, poi i tragici e misteriosi avvenimenti dei pugnalatori di Palermo, il delitto Notarbartolo e il caso Palazzolo, la sanguinosa repressione dei Fasci Siciliani in cui la mafia recitò il proprio ruolo, la strage di Portella della Ginestra, le stragi di Ciaculli e di via Lazio, le uccisioni di Carlo Alberto Dalla Chiesa e di tanti servitori dello Stato e di tanti magistrati che della lotta alla mafia ne hanno fatto una ragione di vita e purtroppo anche di estremo sacrificio sino alla morte.
Per arrivare alle stragi di Capaci e di Via DAmelio dove persero la vita Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Quello stesso Paolo Borsellino che da quanto, in questi ultimi tempi e alla luce di nuove risultanze processuali che hanno fatto giustizia di ignobili e criminali depistaggi, ci è stato dato da apprendere si era opposto con tutte le sue forze ad ogni ipotesi di trattativa tra Stato e mafia e per questo ha pagato, per le connivenze tra mafia e servizi segreti deviati, con la vita il suo atto di coraggio.
Una lunga scia di sangue e di turpitudini che ha visto da sempre protagonisti un mix di soggetti: Stato, mafia,banditismo (nel caso di Salvatore Giuliano), potere politico, servizi segreti, massoneria deviata e quantaltro che hanno ammorbato e continuano ad ammorbare, da 153 anni a questa parte, la vita dei siciliani onesti. Quando ce ne potremo liberare? Con laria che tira sarà difficile.
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