La Svezia, una nazione normale

La Svezia, una nazione normale.
Con un’università straordinaria, come noto ogni giorno in Erasmus, a Linköping.
Tantissimi laboratori, di qualsiasi tipo e per tutti i gusti. Uno con i Lego, l’altro con modellini funzionanti di aeroplani, un altro con modellini di automobili e piste. E chissà quanti non ne ho ancora visti.
Tantissime aule studio, di quelle serie. Quando decido di studiare non devo impiegare metà della giornata alla ricerca di un posto libero, ce ne sono abbastanza per tutti, persino in periodo d’esami. Se mi serve, posso prendere una stanza di gruppo, insonorizzata, in cui ho a disposizione tutto ciò che può servire al mio gruppo per lavorare bene: lavagna e pennarelli colorati, tavolo enorme, tante sedie, tante prese di corrente.
Tantissime aule lezioni, con lavagne immense, pennarelli a volontà e squadrette da lavagna che nessuno ruba, aule in cui gentilissimi e disponibilissimi professori fanno lezione. Spiegano mentre bevo il caffé che ho comprato poco prima e magari lo bevono anche loro, tra una frase e l’altra. Sono puntualissimi, danno 15 minuti esatti di pausa ogni ora e non anticipano mai la fine della lezione. Se ho un problema, un dubbio, posso parlare con loro subito, quando li incontro nel campus, come se vedessi un amico: non c’è alcun orario di ricevimento, è sempre ricevimento (“it’s the Swedish way“, dicono).
Tantissimi bar, mense, alcuni persino gestiti da studenti. Nelle aule-cucina posso portare il cibo da casa, tagliarlo, riscaldarlo in uno dei tanti microonde che sono presenti. E dovunque, nei corridoi, posso usare stampanti/scanner: nessuna fila, nessuno studente scortese che mi dice che stanno chiudendo. Dalla rete internet del campus, posso collegarmi da dovunque e posso ottenere gratis una licenza studenti per uno di quei software costosissimi che possono servirmi nel corso della mia carriera (Matlab, Mathematica e Labview…).
Tantissime aule computer, a cui posso accedere persino di notte, grazie alla carta d’identità magnetica riservata agli studenti. Il portale studenti funziona veramente e organizza ogni piccolo aspetto della carriera universitaria. Ho una casella email funzionanate (in collaborazione con Google) attrezzata con gmail, google docs e quant’altro. Posso condividere documenti con qualsiasi collega di cui conosca il nome senza chiedergli alcun contatto.
Tantissime opportunità per rilassarsi. Si lavora tanto, ci si diverte pure di più. Le feste universitarie (che qui chiamano kravall) sono organizzate autonomamente da studenti dentro il campus stesso, quasi a dire che l’università sa che non sono un robot capace solo di studiare, ma che voglio i miei larghi spazi di vita sociale. L’università, qui, me ne concede a tonnellate.

Se facessi la tesi qui, avrei anche fika gratis (cliccate sul link, malpensanti!) a tutte le ore, una minipalestra a disposizione, doccia e persino una stanza con una costosa sedia da massaggio.

Mi chiedo perché tutto ciò qui sia gratis. È proprio così, non esistono tasse universitarie. Tutto ciò che pagherei qui è un contributo di circa 20 euro annui, versato non all’università, ma alle associazioni studentesche (dunque agli studenti stessi), associazioni che funzionano davvero e se hai diverbi con i professori ti difendono veramente.

E mi chiedo se le tasse che pago nella mia di università siano una sorta di compenso per il surplus di disservizi che la stessa mi offre, nelle occasioni più svariate e persino nelle più impensabili.
Qui non è un paradiso, è solo una nazione normale. Svegliamoci, è la nostra a non esserlo.

Antonio Lima

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