L’11 settembre 1943, tre giorni dopo l’8 settembre, data dell’Armistizio firmato a Cassibile tra Italia e Alleati anglo-americani, a Nola i nazisti fucilarono alcuni ufficiali dell’esercito italiano, e tra essi il capitano palermitano Mario De Manuele. Pur essendo considerata la prima strage operata dai nazisti in Italia, una sorta di anticipazione di quel che, di lì a poco, si sarebbe scatenato nel resto contro le popolazioni nel tentativo di fiaccare la Resistenza, di questa storia non si seppe più nulla, letteralmente dimenticata dagli storici e ignorata dai libri. È tornata alla luce solo grazie alla tenacia – e anche ad alcune fortuite coincidenze – dello storico Umberto Santino. Dopo oltre 70 anni da quell’episodio, infatti, il fondatore del Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato di Palermo, da decenni uno dei massimi studiosi del fenomeno mafioso, ha ricostruito il filo che dal capoluogo siciliano conduce nel centro napoletano, attraverso testimonianze documentate dei momenti salienti di quella storia, poi finiti nel libro La strage rimossa di Nola 11 settembre 43 che contiene anche una rassegna degli scritti sulla Resistenza e sul ruolo della Sicilia.
Nella sua opera di ricerca storica, Santino ha raccolto nel suo libro numerosi episodi di resistenza da parte dei siciliani che risalgono al ’43, prima e dopo lo sbarco degli Alleati a Palermo: «Solo per citarne alcuni – ricorda – a Palermo il 7 febbraio si svolse lo sciopero di 1300 operai dei Cantieri navali, l’8 marzo una manifestazione delle donne di via Alloro e il 31 marzo la protesta degli operai dell’azienda tram e filobus». La città in quei giorni è devastata dai bombardamenti, mancano i viveri e i negozi vengono assaltati. «C’è poi un episodio interessante che viene ricordato dallo storico Renzo De Felice, uno dei maggiori studiosi del fascismo: a quel tempo la figlia di Mussolini si trovava a Monreale come crocerossina e scrive al padre avvertendolo della situazione drammatica che sta vivendo la città senza acqua e cibo i civili si sentono abbandonati, c’e un dissenso crescente nei confronti del fascismo e ogni momento può essere una catastrofe. Di li a poco, il 10 luglio – conclude – c’e’ lo sbarco degli Alleati che in pochissimo tempo conquistano tutto il territorio siciliano».
Santino si è interrogato a lungo sui motivi della rimozione collettiva dalla storia d’Italia e da qui ha incominciato a scavare. Partendo da una singolare coincidenza. «Ho scoperto questo fatto quasi per caso – racconta – parlando con familiari di una delle undici vittime di Nola, Mario De Manuele, capitano dell’esercito e zio di mia moglie Anna. La sua famiglia a quel tempo gestiva un negozio di abiti assieme ai Dell’Oglio, che ancora oggi possiedono un negozio di abbigliamento nel cuore della città. Purtroppo anche tra loro c’era un ricordo molto vago: tutto questo mi ha incuriosito e così ho deciso di andare a Nola per raccogliere testimonianze: lì ho trovato documenti di storici locali che ne parlavano e così ho potuto ricostruire quell’episodio». Ma cos’è accaduto affettivamente quel giorno di settembre di 74 anni fa?.
«Nola non era un posto di frontiera, non c’era la guerra – spiega – ma due grandi depositi di materiali vari custoditi da italiani e tedeschi. In seguito all’annuncio ufficiale dell’armistizio, scoppiano alcuni scontri tra civili di Nola e militari tedeschi che volevano togliere le armi ai soldati italiani. Ma in questo scontro viene ucciso un nazista. I soldati italiani pensano di potere incontrare gli ufficiali tedeschi per parlamentare e inviano un soldato, ma loro lo fanno avvicinare e gli sparano senza dargli alcuna possibilità di difendersi». Ma la rappresaglia è solo all’inizio. La sera stessa alcuni ufficiali nazisti riescono ad entrare in uno dei due depositi spiegando di essere alla ricerca di materiali. Si tratta solo di un pretesto perché in pochi minuti requisiscono una decina di ufficiali italiani e li portano via sotto la minaccia della armi. «A quel punto dispongono i dieci prigionieri davanti a un muro, li fanno inginocchiare davanti a un plotone di esecuzione comunicandogli che per rappresaglia li hanno condannati a morte. Mentre i nostri soldati cercano di capire cosa stia accadendo, i militari di Hitler spianano le armi e fanno fuco, uccidendoli».
Il tutto proprio a ridosso dell’8 settembre, con un esercito italiano allo sbaraglio, una situazione di marasma collettiva, mentre i tedeschi avevano capito che c’era stato un tradimento delle forze italiane e si erano già preparati. «Di questo episodio, purtroppo, parlano solo gli storici locali e nulla è entrato nella storiografia, ma è una storia importante per comprendere la drammatica situazione che si stava creando nel Paese e che avrebbe animato in futuro il movimento dei partigiani. Nel libro – puntualizza – mi sono sforzato di offrire un quadro esauriente sulla resistenza, ponendomi con Primo Levi il problema della smemoratezza: nel suo libro I sommersi e i salvati si interroga sul motivo della rimozione dalla memoria di tanti fatti. E ipotizza che di fronte a fenomeni così gravi e drammatici lontani dalla quotidianità, siamo portati spesso a cancellarli perché, altrimenti, il loro ricordo non ci permetterebbe di continuare a vivere la nostra vita quotidiano, e credo che questo sia successo con Emanuele e in tanti altri casi».
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