«Spero che l’azione che abbiamo portato avanti insieme alla Cgil possa determinare e garantire i diritti necessari ai lavoratori che operano in questo settore. Insieme abbiamo dimostrato che il potere di queste aziende è limitato». A parlare a MeridioNews è Fabio Pace, a poche ore dalla sentenza emessa dal tribunale di Palermo che gli ha dato ragione. Palermitano di 33 anni, Pace fino poco prima che si concludesse il 2020 svolgeva la professione di rider – addetto alla consegna a domicilio – per la piattaforma palermitana Social food. Dopo essere stato sospeso dal lavoro, insieme a Nidil, Filcams e Filt – sigle che tutelano i lavoratori precari, commercianti e del settore dei trasporti all’interno di Cgil – ha deciso di fare causa all’azienda. La vicenda è finita davanti ai giudici, che in Appello hanno confermato quanto era stato deciso in primo grado, definendo il comportamento di Social Food «discriminatorio», come sottolinea lo stesso Pace. L’udienza è avvenuta lo scorso 23 settembre, mentre due giorni fa c’è stata la sentenza.
Ma questo è soltanto l’ultimo capitolo di una vicenda che vede da una parte il lavoratore, iscritto dal 2019 alla Cgil, e dall’altra la ditta di delivery siciliana. Gli attriti iniziano durante il primo lockdown di marzo 2020 quando, scoppiata la pandemia, l’azienda e i lavoratori cercavano delle soluzioni per evitare di entrare troppo in contratto con i clienti. Secondo quanto raccontato da Pace, dopo un’apparente vicinanza tra le parti, l’azienda, davanti alle prime lamentele dei clienti, ha deciso di prendere provvedimenti. «Avevamo deciso che i pacchi dovevano essere consegnati tramite l’ascensore, nei palazzi in cui era presente, perché avevamo paura di possibili contagi – afferma Pace – Poi passano le settimane e di fronte alle prime lamentele dei clienti la ditta decide di non pagare una consegna a un collega». Queste ultime decisioni da parte dei vertici, ad aprile del 2020, spingono Pace e gli altri lavoratori a indire uno sciopero.
Dopo queste azioni, sei mesi dopo, a ottobre 2020, l’azienda decide di siglare un accordo con la sigla sindacale Ugl e Assodelivery, associazione che riunisce alcune aziende del food delivery. «Questo passo porta alla sospensione dei nostri contratti originari, che ci garantivano l’assunzione fino a giugno 2021 – continua Pace – Ci hanno offerto dei nuovi contratti, che però non tenevano conto di alcune tutele inserite nel contratto nazionale regolate dalla legge 128 del 2019: questa ci garantiva un pagamento a ore invece che a cottimo. Io mi sono rifiutato di aderire alle condizioni dettate dall’azienda, perché non mi appartenevano». L’opposizione di Pace causa la sua sospensione dal posto di lavoro. Così l’uomo, assistito dai segretari di Nidil, Filt e Filcams di Cgil, insieme agli avvocati, si ritrova in tribunale contro i vertici dell’azienda. «I giudici hanno detto che l’azienda doveva rispettare il contratto di lavoro originario, che scadeva a giugno 2021 – prosegue Pace – Non si può cambiare un contratto in corso d’opera, ma si doveva rispettare la sua naturale scadenza. Inoltre, i giudici hanno ribadito che si dovevano rispettare i dettami della legge 128».
Dopo aver avuto ragione durante il primo grado di giudizio, la società ha fatto ricorso in Appello. Adesso Pace non esclude altre azioni da parte dell’azienda. «Mi aspetto pure che ricorrano in Cassazione – conclude Pace – Adesso dovrei avere diritto al risarcimento dello stipendio che va da ottobre 2020, mese in cui sono stato sospeso, fino a giugno 2021, scadenza naturale del mio contratto. Oltre a questi fatti, all’azienda è stata contestata la mancata emissione delle buste paga. Inizialmente avevo fatto da intermediario tra i miei colleghi e i vertici della dirigenza, ma purtroppo non è servito».
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