La storia del migrante investito e derubato della bici «Campagna di solidarietà per scrivere finale diverso»

Venerdì sera, intorno alle 22, un ragazzo di circa 20 anni di origini africane arriva, sanguinante, davanti a un locale all’incrocio fra via Michele Rapisardi e via Antonino di Sangiuliano, nella centralissima zona di piazza Teatro Massimo a Catania. «Noi eravamo fuori dalla trattoria – racconta a MeridioNews Carmen Avellino, professoressa di italiano dell’istituto superiore alberghiero Karol Wojtyla – nella pausa fra antipasto e primo della cena di fine anno scolastico quando ce lo siamo visti arrivare davanti disperato e continuava a ripetere solo: “perché io non ho diritto di essere aiutato?” e, all’inizio noi non abbiamo capito il senso della sua frase». 

Sanguinante dalla faccia e dalla testa, con dolori alle gambe e un dente scheggiato, senza una scarpa, spaventato e arrabbiato. Mentre racconta cosa gli è successo, il giovane stringe in mano il suo codice fiscale «che, forse, in quei momenti gli sembra l’unica ancora di salvezza a cui aggrapparsi in un momento di disperazione, di dignità offesa e di dolore – non solo fisico – profondo», dice la professoressa. Racconta singhiozzando di essere stato investito da una Smart mentre era in bici poco distante dall’angolo in cui si trova la trattoria. La macchina avrebbe poi proseguito la sua corsa senza fermarsi. E non è finita qui: il ragazzo racconta anche che, mentre è ancora a terra ferito, a lui si sarebbero avvicinati dei ragazzi non per soccorrerlo ma per rubargli la bicicletta «che è l’unica cosa di sua proprietà che gli consente di andare a lavoro e muoversi in città», aggiunge Avellino. 

«Mentre ci raccontava quello che era appena successo, si faceva più chiaro il senso della sua domanda: ha subito pensato che il mancato soccorso dopo l’incidente e la beffa di portargli via la bici fossero dovuti al colore della sua pelle. Chissà quante ne avrà passate per arrivare a trarre subito una conclusione del genere. Noi abbiamo cercato di fargli capire che può succedere a chiunque». Portato in ospedale da un’ambulanza del 118, il ragazzo è ancora ricoverato con una importante frattura agli arti inferiori e ricorda poco di quanto accaduto. Già lì davanti al ristorante, alcune insegnanti si sono offerte di dargli i soldi per poter comprare una nuova bici ma il ragazzo ha rifiutato. «Abbiamo raccolto il suo disperato grido di aiuto anche se l’impressione era che volesse anche restare nella sua solitudine. Alla collega che gli ha offerto i soldi ha detto “ti considero nel mio cuore come una mamma ma non li voglio e non li posso accettare“», riferisce la professoressa. 

«Credo nel potere delle parole che possono dare senso alle cose e anche creare trasformazioni della realtà». È questo che ha spinto Avellino a scrivere di getto, appena rientrata a casa, un post sulla propria pagina Facebook, che è già stato condiviso e commentato centinaia di volte. «Due sono gli effetti che sta producendo: dalla cerchia a me più vicina sta piovendo tanta solidarietà, biciclette che arrivano da ogni parte e persone che si mettono a disposizione per qualsiasi altra necessità del ragazzo. Però man manche che il cerchio delle persone si allarga sto raccogliendo anche qualche commento che sfiora il razzismo. Al momento non voglio ancora bloccare la possibilità di commentare perché spero di poter scrivere un finale diverso di questa storia». 

Insieme a varie realtà locali, come la Rete antirazzista catanese, la chiesa valdese, la Croce Rossa e l’Arci «stiamo cercando di dare un senso a quello che è successo perché è vero – ammette Avellino – che siamo circondati da molto odio però dobbiamo scommettere sulle spontanee catene di solidarietà». Non solo una colletta per pagare le spese mediche e per restituirgli la bici che gli è stata rubata. «Oggi pomeriggio una volontaria lo andrà a trovare per portargli vestiti, altri beni di prima necessità e per capire di cosa ha bisogno: per esempio, gli chiederemo anche se può e vuole frequentare la scuola serale». Da un fatto singolo a un progetto collettivo. «Lui ce lo siamo ritrovati di fronte improvvisamente e ci ha acceso l’attenzione ma, adesso, l’idea anche in fase embrionale è di raccogliere non solo bici ma tutto ciò che riceveremo in dono dalle persone per distribuirlo ai tanti ragazzi che in città sono nelle sue stesse condizioni. Su certe cose grandi non riusciamo a incidere – conclude Avellino – ma sarebbe già molto bello riuscire a cambiare il finale di qualche storia come questa».

Marta Silvestre

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