La scuola, un tessuto di persone e culture

Cultura scuola persona: parole generiche e soggettive, forse indefinibili. Eppure se provate a digitarle tutte e tre su un motore di ricerca, leggerete – è il primo di oltre un milione di risultati! – un analitico documento del Ministero della Pubblica Istruzione che riesce mirabilmente a cucirle.

Chiarissimo è il ruolo della scuola che, come luogo deputato alla formazione del cittadino e osservatorio privilegiato della società, deve ripensare se stessa in un’ottica multiculturale.

Una didattica incapsulata in contenuti statici e mnemonici non è adeguata al modello di una scuola plurale e flessibile: per educare alla “cittadinanza unitaria e plurale ad un tempo” occorre costruire una memoria collettiva, intrecciare presente, passato e futuro.

I flussi migratori, nella società globalizzata, non sono un fenomeno transitorio ma strutturale, e gestire le diversità culturali non equivale all’eliminazione delle frontiere. La questione del dialogo interculturale concerne tutta l’Europa e presuppone una virata degli obiettivi e delle metodologie: integrazione e (con o senza accento) apprendimento reciproco. Non solo accoglienza.

La reciprocità è insita nel concetto stesso di “ospite”, nel suo significato ambivalente di “colui che offre ospitalità” e “persona accolta in casa d’altri”.

La scuola dovrebbe essere un luogo di inclusione, in grado di coniugare appartenenza e riconoscimento dei diritti.

L’art.26 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo costituisce la base epistemologica dell’educazione interculturale:“ogni individuo ha diritto all’istruzione”; il comma 2 specifica che l’istruzione “deve favorire la comprensione, la tolleranza e l’amicizia tra tutte le Nazioni e tutti i gruppi razziali o religiosi, come pure lo sviluppo delle attività delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace”.

Tappa fondamentale il 1970: la risoluzione Nr.35 del Consiglio d’Europa sottolinea l’importanza della scolarizzazione dei bambini immigrati.

Vent’anni dopo una nuova terminologia approda nella normativa scolastica, con la Circolare Ministeriale n.205,in cui si legge:  “l’educazione interculturale, pur attivando un processo di acculturazione, valorizza le diverse culture di appartenenza. Compito assai impegnativo, perchè la pur necessaria acculturazione non può essere ancorata a pregiudizi etnocentrici”; si insiste anche sulla formazione professionale, sull’insegnamento dell’italiano come lingua seconda e sulla “valorizzazione della lingua e cultura d’origine”. La diversità è letta come risorsa, l’approccio verso gli stranieri non ruota più solo attorno al loro inserimento ma spazia oltre.

Il rischio di appiattire le differenze o di intendere l’intercultura come panacea ha attraversato i modelli scolastici in Francia, Germania, Svizzera e Italia: la politica francese tende di fatto all’assimilazionismo, sacrificando – senza dichiararlo apertamente – le origini straniere; quelle tedesca e svizzera prevedono l’istituzione di classi speciali per gli immigrati, in base alla competenza linguistica e alla nazionalità dei discenti.

Ma a questa rigorosa selezione non si affianca né l’adeguata formazione dei docenti né il successo scolastico degli studenti. Anzi, è la dispersione scolastica il primo riscontro di questi orientamenti. Senza contare il rischio – calcolato ma non evitato – di schizofrenia dell’identità cui sono esposti gli adolescenti…

Come si sentiranno in un Paese che non è il loro? Spaesati, appunto.

Unità nella diversità: è il motto del modello scolastico europeo, ed obiettivo della scuola italiana, che sta sperimentando un percorso di eterogeneità delle cittadinanze nella formazione delle classi: la presenza di alunni stranieri ha superato, nell’anno scolastico 2005/2006, le 400.000 unità. La sfida è notevole, il confronto genera conflitto, ma bisogna intrecciare le risorse.

Se la scuola è un microcosmo, è da lì che si dovrebbe partire per sbrogliare la matassa della società, lì si dovrebbero intrecciare i fili di appartenenza. 

Il rinnovamento parte da una base normativa (la legge sull’autonomia del 1977), coinvolge gli enti locali e si avvale di nuove figure professionali (come i mediatori linguistici e culturali e gli operatori interculturali).

Attori principali, in quest’impresa condivisa, sono i dirigenti scolastici, i docenti e le famiglie. Perno è la persona: “lo studente è posto al centro dell’azione educativa in tutti i suoi aspetti: cognitivi, affettivi, relazionali, corporei, estetici, etici, spirituali”.  

Dunque sarebbe interessante scucire il documento del M.P.I. da cui eravamo partiti, tagliarne il titolo e creare un nuovo modello: “Persona scuola cultura”.

No, non è un’operazione da sartoria, e non otterrete risultati da un motore di ricerca: avreste dovuto ascoltarlo da un esperto. Io l’ho fatto.

Maria Rita Busacca

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