La necropoli romana sepolta sotto la villa Bellini «Perduta l’ultima occasione per farla riapparire»

Una vasta necropoli di età romana, nel sottosuolo del centro di Catania. Estesa da piazza Stesicoro a piazza Santa Maria del Gesù, con migliaia di tombe e altri elementi di pregio. Sparita. Sepolta sotto le stratificazioni di cemento che hanno disegnato il volto moderno della città, a partire dagli anni ’30 e poi nel secondo dopoguerra. Ora, però, sarebbe scomparsa anche l’ultima occasione di effettuare scavi e riportare alla luce le testimonianze di quell’epoca. «Due anni fa – spiega a MeridioNews  Dario Palermo, ordinario di Archeologia classica all’università etnea – scrissi un articolo su questo argomento. La villa Bellini si trova proprio al centro di questa vasta area cimiteriale, ed è l’unica parte rimasta intatta. Però – aggiunge l’esperto – non è possibile procedere alle ricerche sulle due collinette presenti, perché sono costituite da detriti». Pertanto, l’unico punto in cui sarebbero stati ipotizzabili degli approfondimenti archeologici era il piazzale delle Carrozze. «Era», per l’appunto. Prima che i lavori di riqualificazione del piazzale venissero ultimati. 

«Speriamo che la Soprintendenza riesca a bloccare la paventata opera di pavimentazione del piazzale della villa, dove tantissimi di noi più di mezzo secolo fa hanno scorrazzato con le automobiline a pedali». Palermo, insieme ad altri studiosi, lo scriveva proprio due anni fa in quell’articolo, che raccontava di un simposio di esperti – tenutosi alla chiesa di san Francesco Borgia, in via Crociferi – sul culto dei santi catanesi. A quella tavola rotonda era presente anche Maria Grazia Patanè, a quell’epoca soprintendente ai Beni culturali di Catania, adesso in pensione. Ma, nel corso dei mesi, fu chiaro che Patanè non colse il campanello d’allarme lanciato dall’archeologo e dai suoi colleghi. 

I lavori, cominciati nel febbraio di quest’anno, sono stati completati a luglio. Finanziati con 380mila euro provenienti dal Patto per Catania. Nella zona è stata apposta, come precisava qualche mese fa la rup Lara Riguccio, «una superficie di pavimentazione naturale carrabile e drenante. Questo – proseguiva Riguccio – è assicurato tramite l’utilizzo di ghiaia locale e di un prodotto non chimico, ma anzi autorizzato per essere usato anche nelle aree protette, che rende la ghiaia coerente in modo tale da assicurare che rimanga compatta». In altre parole, ecco la pavimentazione che secondo archeologi e storici non permetterà mai più a nessuno di sapere cosa si trovasse lì sotto.

«Il fatto che sia stato pavimentato – continua Palermo – è il guaio minore, perché quel che c’è sotto si sarebbe almeno potuto conservare intatto. Il problema è che sono stati eseguiti anche degli scavi, per calare tubature molto grosse». Il nuovo pavimento del piazzale, secondo l’amministrazione comunale, dovrebbe migliorare l’assorbimento dell’acqua piovana. Addirittura, a sentire Enzo Bianco, «attutisce le cadute». Proprio l’ex sindaco, sulla sua pagina pubblica di Facebook, ha scritto il 3 luglio che i lavori sono stati realizzati «sotto la supervisione della soprintendenza e delle associazioni ambientaliste (non tutte, in realtà, ndr)». 

Cosa rimane, oggi, di quella necropoli? «Rimangono piccole cose – risponde Palermo – che non tutti i catanesi conoscono. L’ipogeo della Selva, la cosiddetta tomba di Stesicoro, la chiesa della Mecca che sta dentro l’ospedale Garibaldi». L’archeologo è entrato ancor più nel dettaglio in un articolo scientifico pubblicato pochi mesi fa sulla rivista di settore Incontri. «Qualcuno riesce a immaginare – si legge – che splendore e che vanto per la città sarebbe stata questa sorta di via Appia Antica sotto il vulcano?». Al di là dell’immaginazione, difficilmente i catanesi potranno mai vederla. 

Marco Militello

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