La musica ama il web. O forse lo odia

Il mercato discografico è in crisi nera. Gli industriali della musica lo strillano da anni, ma ora la recessione generale sta peggiorando le cose. I numeri sul bilancio commerciale del 2008, secondo la IFPI (Federazione internazionale dei discografici), sono impietosi: -31,2 % negli Usa, -11,3 % in Europa e -15,4 % nel mondo, di vendite di cd rispetto all’anno precedente. Al contrario la vendita della musica digitale impenna dappertutto: +16,5% negli Usa, +36,1% in Europa e + 24,1% a livello mondiale. Tirando le somme, le perdite sul fatturato sono di -8,3% a livello mondiale, -6,3% in Europa e -18,6 negli Usa, con oltre 40 miliardi di file condivisi illegalmente. La IFPI, addirittura, riporta che il 95% dei download di musica in rete è illegale, senza introiti per artisti e produttori.E in Italia? La FIMI (Federazione Industria Musicale Italiana) ci dice che il fatturato totale dell’industria è in calo del 21% rispetto al 2007 e che le vendita di musica digitale ha avuto un incremento del 4%.
 
E’ questa la rivoluzione provocata dal file sharing e dal downloading (illegale o no): uno scombussolamento che sta facendo tremare i piani alti delle major, ma che sta colpendo anche i gradini più bassi della macchina come i negozi di dischi. Ogni giorno chiudono botteghe e megastore perché la gente non compra più compact disc, l’ultima notizia parla della fine dello storico punto vendita bolognese Nannucci, una specie di istituzione per gli appassionati italiani di dischi e vinili. Ma cosa sta succedendo esattamente? Cosa aveva portato il governo francese di Sarkozy ad approvare la Loi Hadopi, la legge che in tre mosse fa scacco matto al “pirata” stoppandogli la connessione internet? (poi dichiarata incostituzionale). Cosa ha spinto i Radiohead a distribuire gratuitamente sul web il loro album “In Rainbows”? Cosa ha causato la fine della Touch&Go/Quarterstick, storica etichetta di Chicago? Insomma, c’è da chiedersi che strana erba sia cresciuta nel mondo della musica a partire da quell’autunno del 1991 quando un trentenne inglese di base a Ginevra inventò la rete del World Wide Web.
 
Tutto è in qualche modo cambiato in seguito all’intuizione di Tim Berners-Lee informatico del Cern. Il web come piattaforma comunicativa, liberatasi rapidamente dei connotati esclusivamente hacker, è diventata il tripudio della comunicazione tra individui ora allacciati anche a migliaia di chilometri di distanza. Il mondo della musica non è rimasto impermeabile al suo fascino: nel ‘95 Michael Goldberg, già giornalista musicale di Rolling Stone, fonda il primo giornale musicale on-line “Addicted to noise”, da quel momento da Los Angeles a Tokyo tutti potevano leggere i suoi articoli. Nel ‘97 il Pop Mart tour degli U2 con sul palco uno schermo da 150 mila pixel, di circa 700 metri quadrati, dal peso di 300 quintali, in broadcasting via internet, è la celebrazione di un nuovo mondo globale. Ecco che il pubblico di tutto il pianeta si strizza l’occhio per la prima volta. Ancora di più quando gli viene data l’opportunità di condividere direttamente i propri gusti musicali e le proprie canzoni preferite. Il primo sito di file sharing chiamato Napster parte nel 1999. Ad inventarlo, un diciannovenne studente di Boston, che voleva spartirsi mp3 con i colleghi del suo corso, ma che finì per unire le discografie di mezzo mondo. Nasce con Napster quel downloading che ora travolge il mercato del disco e che allora fece arrabbiare molto una band importante come i Metallica trovatasi un giorno a leccarsi le ferite per un proprio disco, non ancora sugli scaffali dei negozi, ma già gratis nei pc di milioni di utenti.
 
Oggi la relazione tra web e musica provoca reazioni di odio/amore. Odio delle major discografiche messe alla prova dal diffuso file sharing e da una clamorosa crisi di vendite, oltre che dalla presa di coscienza di essere ormai strutture impreparate al cambiamento. Odio di alcuni artisti che, in mancanza di introiti provenienti dai cd, sono costretti a fare i globetrotter in decine e decine di concerti. Odio, ancora, dei negozianti di musica che si ritrovano scaffali pieni e botteghe vuote in seguito al graduale distacco, da parte del pubblico, dai supporti “fisici” della musica (il compact disc, il vinile, il dvd) a favore di quelli “volatili” (il formato mp3 negli I-pod e negli hard disc).
 
Amore, invece, degli ascoltatori perché possono usufruire (legalmente e illegalmente) nel proprio pc di così tanta musica come non mai, e tutto in maniera supersonica, con un click. Amore incontrollabile, inoltre, da parte di quelle band emergenti che, improvvisamente, grazie a social network come Myspace, hanno potuto far conoscere le proprie canzoni altrimenti a impolverare in un demo. Amore, anche da parte del giornalismo musicale più innovativo che scrive nei blog e nei pochi caratteri di Twitter, commenta nei podcast e nelle web radio, costruisce webzine con contenuti senza limiti di spazio. Amore, certo, da parte di quegli utenti che scoprono il “volto della musica” grazie ai video che possono gratuitamente vedere su you tube. E infine amore di alcuni artisti che ormai realizzano i propri lavori direttamente tramite software e nei propri laptop e che poi si scambiano idee grazie al web e alle e-mail.
 
Insomma vanno soppesati i due lati della bilancia. Fatto sta però che in pochissimi anni Internet e la svolta digitale sono riusciti a scuotere l’intero sistema musica. Nulla più è uguale nell’informazione, nella produzione, nella promozione e nella fruizione di dischi. Il terremoto è stato così forte che sembra già delinearsi uno scenario completamente diverso che porterebbe alla morte delle etichette discografiche, alla crisi delle tv musicali (vere dominatrici, con MTV in testa, della scena degli anni ’90), alla fine del disco e ad una rivoluzione culturale nell’approcciarsi all’ascolto. Uno scenario che con Step1 abbiamo voluto indagare cercando di guardare il fenomeno dall’interno con una serie di interviste sul tema. Chiacchierate con “addetti ai lavori” per raccontare la musica nel suo rapporto col web: un oceano dove perdersi felicemente o un’isoletta sconosciuta in mezzo all’oceano?

Riccardo Marra

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