Cultura e spettacoli

Il Giappone nascosto delle Maiko: la mostra Kaimamiru sbarca a Palermo

Il fascino effimero della cultura giapponese, in cui la bellezza non risiede tanto nella permanenza, quanto nella transitorietà del momento. Uno dei concetti che meglio esprime questa sensibilità è il termine kaimamiru, che letteralmente significa intravedere, scorgere per un attimo. È un’idea che richiama l’importanza del frammento, dell’impressione fugace, della bellezza che si manifesta solo per un istante, lasciando un’impressione duratura proprio perché breve. Da questo concetto l’artista Fabrice de Nola si fa ispirare per la sua nuova mostra dal titolo, appunto, Kaimamiru (vol.1) a cura di Desirée Maida, che sarà inaugurata Palermo il 16 aprile, alle ore 18, e sarà visitabile fino al 15 giugno presso elenk’art, in via Vincenzo Di Marco 27/b.

Si tratta, dunque, di un’espressione concreta e affascinante di questo principio che può essere trovata nella figura della maiko, l’apprendista geisha. Infatti, vedere una maiko -anche solo di sfuggita mentre attraversa un vicolo nei quartieri storici di Kyoto – rappresenta un momento di kaimamiru: un’immagine che si offre allo sguardo e subito scompare, portando con sé un senso di mistero e di rispetto per ciò che non può essere pienamente colto. Questa sensibilità viene abilmente descritta da de Nola che, nella sua più recente produzione pittorica indaga i concetti di tempo e di spazio, di paesaggio e di corpo, proprio attraverso la maiko una delle figure più affascinanti e criptiche della cultura e dell’immaginario giapponese. Non è la prima volta che Fabrice de Nola reinterpreta e restituisce in pittura questa figura, infatti, per l’artista la cultura giapponese diventa strumento per indagare il mondo e le sue dinamiche, e sperimentare sulla tela stili occidentali e orientali.

«La maiko è l’apprendista geisha della città di Kyoto (qui, rispetto ad altre zone del Giappone, la geisha è chiamata geiko) – spiega la curatrice della mostra, Desirée Maida -. Letteralmente la parola maiko significa fanciulla danzante: fin dall’adolescenza, la sua vita è votata all’addestramento – molto lungo e impegnativo – alle arti della danza, della musica, del teatro, della poesia, della conversazione e della cerimonia del tè. E non solo: la maiko (così come la geiko) è tenuta a curare il proprio aspetto con scrupolosità, prestando particolare attenzione alle acconciature, al trucco, all’abbigliamento e agli accessori».

«Un’iconografia complessa, figlia di tradizioni secolari, che ancora oggi viene tramandata ed è diventata una delle immagini più emblematiche e popolari del Giappone sebbene, spesso, la conoscenza di questo mondo non vada oltre il suo involucro esteriore – precisa ancora Desirèe Maida -. Rimane intravista, proprio come il corpo della maiko: dall’abbondanza delle preziose stoffe che la avvolgono, si riesce a intravedere solamente il collo, alimentando mistero, incanto, sensualità». Fabrice de Nola, nato a Messina nel 1964, è un artista italo-belga. Nel 2006 ha realizzato il primo dipinto al mondo collegato a Internet tramite codice QR, e nel 2012 ha introdotto l’uso della realtà aumentata in pittura. I suoi dipinti e le sue installazioni sono narrazioni diffuse, concepite come architetture dell’informazione. Sue opere sono nella Collezione del Museo d’Arte Contemporanea di Roma (MACRO), nella Collezione Farnesina del MAE, nella Collezione dell’Archivio dell’Università del Molise, e in diverse collezioni pubbliche e private in Europa, Stati Uniti, Australia e Giappone.

Tra i suoi progetti più importanti ricordiamo Graffiti (1984-1987) e Vergänglich (1997-1999) sui confini tra pittura e fotografia; Radome (1999-2004) sull’identità in relazione alla proliferazione dei dati digitali; NeuralPro (2003-2008) che simula un’azienda di intelligenza artificiale; Backyard World (2011-2014) sull’incidente di Fukushima. «Le maiko di Fabrice de Nola ci guidano verso l’atemporalità per mezzo del tempo: si stagliano su fondi aurei che alludono a una dimensione altra, o su scenari su cui è appena accennato l’elemento naturale, a metà tra evocazione e astrazione – sottolinea ancora la curatrice della mostra -. È il mondo del transitorio – dei fantasmati – o, per citare un concetto caro alla filosofia estetica giapponese, del Wabi-sabi: cogliere la malinconia della bellezza che deriva dallo scorrere del tempo. Le maiko divengono – anzi, sono – tempo, e così si assimilano alla natura. Una visione, questa, che ha ispirato anche alcuni titoli delle opere di Kaimamiru: Ghiaccio rotto, in cui una maiko, immersa nel chiarore invernale, si destreggia con le sue tipiche calzature (okobo) su lastre di ghiaccio in procinto di sciogliersi che annunciano l’arrivo della primavera».

Sonia Sabatino

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