«La mia auto forzata e depredata in piazza Guzzetta» Ma dopo due ore di attesa, impossibile fare denuncia

Brancaccio, Falsomiele, Bonagia, Borgo Nuovo. Ma all’appello ci sono anche il Cep e lo Zen. Se chiedi a un palermitano cosa accomuna queste zone, chiunque risponderebbe subito che sono periferiche e che tutte, per un motivo o per un altro, si portano addosso da sempre il peso di un pregiudizio incrollabile, che fatica a svanire: quello di essere tra i luoghi meno sicuri di Palermo. E quando senti il racconto di una giovane donna che nel cuore della notte ritrova l’auto con il finestrino del passeggero sfondato e l’intero abitacolo svuotato e ripulito fino all’ultimo cavetto usb, forse per un attimo, almeno se sei palermitano, ci pensi a uno di quei quartieri là. Quelli con la loro etichetta, sempre la stessa. L’auto però si trova posteggiata nel cuore della città: la via si chiama piazza padre Giorgio Guzzetta, malgrado si tratti di una strada corta e larga, e di spiazzi nemmeno l’ombra. Una delle sue estremità si affaccia su Palazzo Branciforte, dove un agente della Securpol presidia il museo, specie di notte e rivela: «Qui queste cose sono all’ordine del giorno». L’auto, una C1 rossa, resta posteggiata lì dalle undici di sera fino all’una. Nessuno sente niente. Non sente niente chi occupa l’edificio fatiscente sull’altro lato della via, anzi, «la luce, fino a quel momento accesa, si spegne al nostro arrivo», racconta la donna. E neanche l’agente del museo. Nessuno.

«Se avesse la parola, solo il cane disteso a pochi metri dall’auto, lì al momento del posteggio e sempre lì al momento del ritrovamento, avrebbe qualcosa da raccontare», prosegue ancora la giovane. La prima cosa da fare è controllare cosa manca. «In pratica tutto, tranne i documenti dell’automobile. Quelli li hanno risparmiati». Per il resto, spariscono abiti, scarpe, prodotti di lavoro, cavetti e dispositivi per la musica. Si portano dietro persino la pochette coi trucchi. La donna, allarmata, avvisa subito gli amici salutati appena pochi minuti prima. Accorrono tutti, sgomenti. Si attivano subito, però, e chiamano il 113. «Ragazzi mi dispiace, la città è divisa in zone territoriali e quel tratto è di competenza dei carabinieri, noi non possiamo fare niente», risponde il primo agente al centralino. «Vi metto in contatto col 112», dice. Dopo pochi minuti ecco i carabinieri all’altro capo del telefono: «In casi del genere non è previsto nessun nostro intervento con le volanti, dovete andare voi a fare una denuncia», replicano.

Il gruppo di amici insiste, sperano che qualcuno possa passare dal luogo dell’incidente e in qualche modo rassicurarli. Questa volta senza tramiti, tentano loro a sentire i carabinieri, ma senza successo. Al 112 non risponderà mai nessuno per circa due ore. Provano allora con il comando dei vigili urbani di via Dogali, ma la voce al telefono ribadisce che la competenza sia esclusivamente dei carabinieri. Anche loro, però, decidono di fare da tramite e di mettersi in contatto con i colleghi. Ma l’esito è ancora una volta negativo, non interverrà nessuno. «Tutte le volanti sono impegnate». Qualcuno degli amici prova a ribattere, ma viene subito frenato: «Noi siamo ridotti all’osso tra municipale, carabinieri e polizia, poi siamo pure ad agosto. Se la macchina è assicurata contro il furto, comunque, una volante deve venire a fare la constatazione», dice a un certo punto un altro militare al telefono. Ma i vigili urbani, appena pochi minuti dopo, smentiscono l’opzione: «Onestamente di questa cosa non siamo a conoscenza». «Io a chi devo credere? Quale versione devo prendere per buona?», si interroga intanto la proprietaria dell’auto.

Il gruppo di amici telefona a più non posso, non sanno come procedere, le risposte ottenute nei singhiozzi di telefonata sono state tante e a volte diverse. Ma insistono, fino a quando qualcuno dall’altra parte della cornetta non si indispettisce: «Ma lei vuole fare polemica o vuole solo fare una segnalazione?», domanda piccato un agente, evidentemente già a conoscenza della storia di quell’auto. Intanto sono già passate quasi due ore e nessuno s’è fatto vivo. I nervi sono ancora troppo tesi però, per andare a dormire come se niente fosse successo. La donna, che fino a quel momento era rimasta in disparte, prende la situazione in mano, chiama lei stessa i carabinieri per chiedere indicazioni sul luogo in cui recarsi per sporgere denuncia quella notte stessa: «Ho fatto una ricerca col cellulare, pare che il comando più vicino a me sia in via Mura San Vito, è giusto?».

«Sì – risponde subito l’agente – Ma non so se a quest’ora c’è qualcuno addetto per la denuncia, anzi al cento per cento no, faranno orari d’ufficio, se ne parla dopo le otto. Lei ha urgenza di fare la denuncia?». Sì, lei ha urgenza. L’uomo a quel punto chiede cosa sia stato «asportato» e rispetto ai vestiti vuole sapere «di che tipo». «Questa è la terza telefonata comunque che ricevo sentendo la stessa storia», aggiunge. Va bene, ma nessuno aspetta più l’arrivo di una volante. La domanda è chiara: dove si va per una denuncia alle tre di notte? Magari alla questura di piazza della Vittoria? «Anche lì non so se c’è qualcuno a quest’ora, le devo passare un attimo i colleghi della Ps, un attimo solo che mi accerto meglio. Capisco il suo stato d’animo, io stesso sarei…», non completa nemmeno la frase però. Passa qualche altro minuto di silenzio, poi scatta una musica registrata. La linea cade dopo qualche secondo e la notte si chiude così, senza aver visto passare neppure per sbaglio una volante né senza aver capito quale fosse la prassi ideale da seguire se trovi l’auto svuotata in pieno centro e in piena estate di notte a Palermo. «Se mi avessero aggredita – conclude la vittima – o se fossi stata rapinata, il 112 avrebbe continuato a non rispondere come l’altra notte? E io cosa avrei fatto?».

Silvia Buffa

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