La memoria e il desiderio di Un’ora sola ti vorrei

Titolo: Un’ora sola ti vorrei
Regia: Alina Marazzi
Soggetto: Alina Marazzi
Sceneggiatura: Alina Marazzi
Suono: Remo Ugolinelli, Alessandro Feletti, Benni Atria
Immagini d’archivio (1926-1972): Ulrico Hoepli
Montaggio: Alina Marazzi, Ilaria Fraioli
Produzione: Venerdì Produzione Cinema, Bartlebyfilm
Origine: Italia 2002
Durata: 55’

Una serata ricca di emozione e commozione per gli abbonati a Fuoricircuito che, mercoledì 2 maggio, hanno potuto assistere alla proiezione dell’intimo film-documentario Un’ora sola ti vorrei di Alina Marazzi, in cui la regista ricostruisce la vita della madre morta suicida a soli 33 anni, Liseli Hoepli, figlia del noto editore Ulrico Hoepli.
Presentata nel 2002 al festival di Locarno, l’opera è un atto di poetica ricomposizione che ricrea la vita e il ricordo di una madre perduta e quasi sconosciuta, del suo bellissimo e malinconico volto, un ricordo che solo il cinema può restituire alla regista, troppo piccola al tempo della sua scomparsa per poterla ricordare davvero. Il film nasce dal desiderio dell’autrice di riappropriarsi della figura della madre, e quindi di una parte della sua stessa vita, che era stata praticamente rimossa dalla memoria familiare, ed è proprio questa memoria di un passato tenuto per molti anni nascosto, materializzata nei filmati amatoriali girati dal nonno Ulrico rinchiusi e gelosamente custoditi nel suo archivio, ad essere rievocata e rivelata nella trama di emozioni che costituisce il tessuto del film.

La giovane regista rielabora il materiale di repertorio, eccezionale sia per qualità che per quantità: un vasto numero di bobine di pellicola 16 e 8 mm che l’editore Hoepli ha girato dagli anni Venti agli anni Settanta per immortalare i momenti più felici della famiglia, feste, matrimoni, nascite e vacanze, e che attraverso le immagini di vita privata testimoniano la voglia di mettersi in mostra di un’intera classe sociale presentando, così, anche uno spaccato storico dell’ambiente alto-borghese del Novecento italiano.

Un’ora sola ti vorrei si fonda su un articolato e brillante lavoro di montaggio attraverso il quale si dà vita all’intimo racconto dell’autrice. Alle immagini dei filmini sapientemente montate si aggiungono quelle delle foto e delle cartoline, e su di esse sovrastano i pensieri di Liseli, le parole dei suoi diari e delle sue lettere indirizzate alla migliore amica, a sua madre, al marito e ai suoi figli, e mai al padre. A leggerle è la stessa regista che ridona in questo modo la voce al personaggio della madre in un atto di profonda e commovente immedesimazione. Così le due fonti, Ulrico Hoepli per le immagini e Liseli per il testo, vengono investite in prima persona da Alina, che rivelandone lo straziante contrasto ripercorre l’esistenza della madre e ne svela la complessa interiorità e l’acuta sensibilità.

Le bellissime immagini, a colori e in bianco e nero, di gioia e spensieratezza, di vita e di amore contrastano con il racconto struggente, esse sono un ritratto superficiale in oscuro disaccordo con le riflessioni profonde e poetiche sul vivere di Liseli, sono delle celebrazioni ipocrite della società da cui Liseli si sente schiacciata, la società falsa e conformista che per lei è rappresentata dal padre. Attraverso questo contrasto si racconta la vita di una donna che sembra avere una spietata coscienza di sé, una donna che è figlia, madre e moglie ma che non si sente all’altezza di tali ruoli, e che viene logorata dalla malattia, allora non riconosciuta come tale, della depressione.

Il film è una narrazione malinconica e piena di passione, come testimoniano perfino le musiche nostalgiche e sentimentali che arricchiscono con grande efficacia le immagini, prima fra tutte la celebre canzone dal titolo omonimo o le bellissime melodie di pianoforte o la tenera ninnananna in tedesco che accompagna le immagini d’infanzia della madre e quelle che mostrano l’autrice bambina. È una narrazione commovente ma mai melodrammatica, lo dimostrano alcune scelte della regista che riguardano la messa in scena, come quella di mostrare con riservatezza le cartoline che da bambina aveva spedito alla madre mentre era rinchiusa in manicomio o quella di non far “vedere” la sua morte ma di farla discretamente leggere allo spettatore.

Alina Marazzi realizza la sua personale ricerca di un affetto perduto in un’opera nostalgica eppur “luminosa” che provoca in chi la guarda emozioni profonde ma prive di angoscia. Si serve del mezzo cinematografico per far rivivere la madre e realizzare il suo desiderio per un’ora, come per dirle “un’ora sola ti vorrei, io che non so scordarti mai”.

Agata Pasqualino

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